Se per il bene di molti sia giusto sacrificare il bene del singolo.
Mi è capitato di assistere ad alcune conferenze di filosofia morale che si aprivano con la proiezione di una fotografia: un bambino piccolo, vestito di bianco, occhi grandi e attenti.
“Uccidereste mai questo bambino?”
Dalla platea si levano brusii e gridolini inorriditi. Insomma, stiamo parlando di un bambino!
“E se vi dicessi che questo bambino, un giorno, da grande, ucciderà milioni di persone?”
Cala il silenzio nella sala.
“Questa è una foto di Adolf Hitler”.
Anche chi aveva urlato allo scandalo sembra non avere più niente da dire, perché non sa cosa dire.
Uccidereste mai questo bambino? Neanche se vi dicessi che ucciderà, un giorno, milioni di persone?
Il problema filosofico nascosto in Un oscuro scrutare è molto simile, anche se l’individuo da eliminare per la presunta salvezza di altre persone (di numero non meglio precisato) non è un criminale, un dittatore, ma un agente sotto copertura.
Nel piccolo, restando più vicini al tema del libro, questa domanda me la pongo spesso ascoltando o leggendo le notizie di cronaca: parlano di retate, di esser riusciti finalmente a catturare i pesci grossi, e non viene nominato chi durante il periodo delle operazioni è morto, magari di overdose o per una partita tagliata male, oppure chi si è beccato qualche brutta malattia. I sacrificabili, i tossicodipendenti in questo caso, per arrivare a catturare chi occupa gradini più alti di quelli dello spacciatore di quartiere. E con quelli che muoiono, muoiono anche i loro cari.
Esistono vite sacrificabili?
E chi è in grado di stabilire quali vite lo siano e quali no? Con quale diritto?
A questo assistiamo in Un oscuro scrutare: la disintegrazione dell’identità e dell’esistenza di un individuo per un presunto fine superiore.
Presunto per chi? Superiore a cosa?
In un Oscuro scrutare seguiamo il lento dilagare di dissociazione e di follia in chi dovrebbe difendere gli altri e, a sua volta, essere difeso.
La solitudine, il disgusto e l’amarezza dilagano pagina dopo pagina e la domanda sui limiti del Bene, sui limiti cioè del fare del Bene, acquista sempre più forza.
Osservando gli effetti di questo presunto Bene, viene da chiedersi se il bene sia realmente bene. Se un bene agisce compiendo il male è davvero benevolo, benefico, benevolente o in ogni altro modo si voglia definire quello che la morale sembra suggerirci?
Mi sono posta molte volte questa domanda, ma non è questo lo spazio per la mia risposta.
Ognuno di noi ha la propria, che sia filosofica, religiosa o emotiva.
E tu vuoi condividere la tua opinione su questo tema? Per il bene della pluralità è giusto sacrificare il bene del singolo?
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