Ho provato a scrivere di Kabul, ma sono bloccata. Non posso respirare e non riesco davvero a trasferire su carta lo sgomento che provo e i pensieri che si rincorrono nella mia testa.
Nel computer ho trovato una poesia del 2018, sicuramente non perfetta, ma che ha fatto tintinnare campanelli dentro di me. L’avevo scritta pensando all’emigrazione, al doloroso separarsi dalla propria casa. Penso alle immagini che i mezzi di informazione stanno diffondendo, con persone che fuggono dalla loro terra e i “falling men” che cadono giù dalle ruote degli aerei. Sento una fitta. Fa troppo male.
Condivido con voi questi versi perché arte e cultura sono gli unici strumenti che abbiamo per essere liberi. E perché credo che sia necessario ricordare, ogni giorno ma oggi ancora di più, che forse la fortuna è un fatto di geografia (cit. Bandabardò).
Buona lettura.
Diventare rondine
Seguirò il volo degli uccelli
quando arriverà il freddo,
quando sentirò nostalgia
di casa,
e forse piangerò,
forse penserò di tornare.
È tutto nel fagotto,
tutto nelle mie tasche,
soprattutto la speranza.
E un giorno d’autunno
quando gli uccelli torneranno
a casa,
alla loro casa,
alla mia casa,
volerò con loro,
con un pensiero,
un desiderio.
Volerò a casa.
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