
Estate 2019.
La verità è che non ero pronta a separarmi da te. A farti diventare altra, una persona a sé stante. Per quanto mi mostrassi felice perché il momento era arrivato, quello in cui ti avrei finalmente conosciuta e sentita sulla mia pelle, non ero pronta.
Non era paura la mia, anche se non sapevo cosa sarebbe successo. Ero triste, forse; almeno una parte di me lo era, quella che non voleva lasciarti uscire dal pancione, quella che sentiva quella simbiosi rassicurante sul punto di sgretolarsi.
E così sei nata, quando tu eri pronta e io faticavo a lasciarti andare: eri scesa con la testa, il movimento aveva rotto il sacco, le contrazioni erano arrivate, ma nonostante tutto ero chiusa. Chiusa fisicamente, ma anche a un livello più profondo. Non mi importava del dolore, delle fitte alla schiena che mi facevano mordere il lenzuolo durante la notte.
Resta ancora un pochino lì, ti avrei voluto dire. Stiamo così bene insieme.
Arrivò il momento in cui vinse la stanchezza, la rassegnazione. Mi convinsi che era giusto che tu venissi al mondo, che sarebbe stato bellissimo vedere il tuo sguardo dal vivo. Mi chiedevo di che colore avresti avuto gli occhi. E la tua testolina sarebbe stata coperta di capelli? Avresti pianto subito o dopo un poco? Fu quando iniziai a pormi queste domande: in quel momento le contrazioni cambiarono, iniziai ad aprirmi e mi preparai a conoscerti.
Sono passate settimane da quando ci siamo conosciute. Delle volte mi trovo a carezzare la pancia. Cerco di non guardare la smagliatura a forma di sole intorno all’ombelico, percorro con l’indice la salita della linea alba: è ancora lì, più sottile, a ricordarmi dove eri. In quei momenti mi sento vuota, sento che mi manchi come l’aria, anche se sei nella tua culla, nella camera, a dormire un sonno dolce e sereno come te. Mi avvicino, cerco di non far rumore, aspetto che tu ti svegli. Quando apri gli occhi sono lì, mi sorridi, rispondo al tuo sorriso. Finalmente ti stringo al petto e chiudo gli occhi: ti sento ancora così vicina che potresti di nuovo essere dentro di me. Tu la mia gemma, io la tua incastonatura. Tu il mio tesoro, il tuo scrigno. Tu la mia isola, io il tuo mare che la circonda. È un po’ come tornare a essere un tutt’uno, eppure so di doverti lasciare andare.
Ci sono momenti che vorrei non finissero mai: li fisso nella memoria, insieme al tuo profumo, il profumo della mia bambina, l’inconfondibile odore che avevi sin dal primo momento. È un peccato non poterlo imbottigliare, non poterlo portare sempre con me.
Mi manchi, Chiara, mi manca sentirti muovere nel mio pancione. Sentire che non sarò mai sola e che neanche tu lo sarai. Sentire che insieme siamo qualcosa di più di una semplice somma.
Oggi sono rimasti un filo di pancia, le smagliature, la sottile linea scura. A volte mi manca ancora il sole, il sole che avevo sulla pancia e che adesso, se guardo meglio, mi sorride stretto stretto alla mia pelle. Mi trovo a cercare le foto del pancione, a toccare quello che ne è rimasto, a sentire – oltre che pensare – quanto fosse bello. È la nostalgia che mi assale, soprattutto in giornate di pioggia come questa: si fa fatica a vedere il sole quando ci sono le nuvole a coprirlo.
Tu sorridi, dolce balsamo per dolore.
Tu
eri sole nella mia pancia,
ora
sei sole sulla mia pancia.
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