
Estate 2019.
La coda alle poste, alla cassa del supermercato, per strada verso il luogo d’appuntamento. Quella sulle poltroncine dal medico. Quella tra i banchi di scuola, con la cartella già pronta, in attesa della campanella della libertà.
Non ho mai sopportato aspettare: l’attesa mi sembrava un momento vuoto, una stasi tra due divenire. Una cosa ferma, vuota, che mi rendeva passiva. Uno stop forzato durante una corsa, corte catene al palo in mezzo a un prato verde.
Con la gravidanza sono cambiate tante cose… e io ho imparato ad aspettare, a dare valore all’attesa.
La chiamano così, dolce attesa, sottolineando quanto sia bello aspettare, quanto ne valga la pena. Ci sono gravidanze che di dolce hanno poco. La mia è stata abbastanza tranquilla, tranne per qualche contrazione e un ricovero proprio la notte dell’ultimo dell’anno. Ho avuto paura, quella notte, paura che mia figlia nascesse troppo presto o che qualcosa non andasse bene. In fondo mi piaceva aspettare, perché era un aspettare lei.
Giorni ad attendere una visita per rivedere mia figlia muoversi nel pancione, per ascoltare il battito del suo cuore. Era un’attesa piena, carica di emozioni. Un’attesa magica, senza solitudine e noia.
Un calcio, una gomitata. Eccola, finalmente si è svegliata.
Oltre che magica, quell’attesa era necessaria. A mia figlia serviva tempo per formarsi e per crescere. Ogni minuto trascorso là dentro, nel pancione, al sicuro, era un attimo ben speso per il suo sviluppo.
Aspettare, in gravidanza, era naturale. Aspettare, in gravidanza, era magico.
Oggi sono tornata alla vita un po’ di corsa. È colpa mia, ne voglio fare tante, finisco per farne metà male e l’altra parte vengono posticipate.
Oggi sono triste. Non triste come il tempo, ma di una tristezza un po’ più profonda. Una di quelle tristezze difficili da raccontare.
Chiara dorme di nuovo nel suo lettino, io aspetto che si risvegli.
Accetto il primo insegnamento che mi ha offerto mia figlia, quello che l’attesa è bella, e spesso necessaria. Può rivelarsi anche utile. Accetto l’insegnamento, metto un po’ di musica a basso volume, apro tre pagine bianche e inizio a scrivere.
Oggi mi regalo l’attesa, quell’attesa carica di sentire, di emozioni da provare.
Quell’attesa piena, ecco, quell’attesa così simile a quella che provavo insieme a Chiara nel pancione.
Oggi la mia pancia è vuota – talvolta penso terribilmente vuota – ma oggi poco mi importa.
Ne trarrò insegnamento in coda alla posta, quando tirerò fuori un libro da leggere e in cui rifugiarmi. O in coda alla cassa, quando penserò a una nuova storia da raccontare. O quando il sole, lento lento, si appresta a tramontare e io mi emozionerò, scalpiterò e poi tratterrò il respiro, finché non sarà scomparso.
Vuoi suggerirmi un argomento o una storia?
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