Intervista all’autrice Maricla Pannocchia

20 giugno 2022: giornata internazionale dei profughi. Il libro di oggi non è programmato a caso. Sì, lo so, il lunedì sarebbe dedicato alla rubrica “Mamma di penna, mamma di carta”, ma per stavolta abbiamo deciso di fare una doverosa eccezione. Troverete domani l’articolo a tema maternità e oggi questa interessante intervista a Maricla Pannocchia.
Classe 1984, un’autrice di origine toscana con un focus sulle cause sociali. Dal 2014 a oggi Maricla ha pubblicato numerosi libri su tematiche inerenti le violazioni dei diritti umani. Dal 2014 è fondatrice e Presidente dell’Associazione di volontariato Adolescenti e cancro.
Viaggiatrice, ama definirsi “cittadina del mondo” e la sua missione è proprio quella di viaggiare, specialmente in situazioni di disagio, per conoscere queste persone e diffondere le loro voci ma anche per celebrare la diversità e favorire la conoscenza di altre culture.
Oggi presentiamo insieme a Maricla Pannocchia il suo ultimo lavoro, “Boccioli nel fango“. Abbiamo scelto di farlo in questo giorno speciale perché raccoglie appunti e riflessioni da un campo profughi al confine turco-siriano.
Ciao Maricla. Quando ho iniziato a documentarmi sul tuo libro per preparare l’intervista, sono rimasta molto colpita. Iniziamo subito con una precisazione: il ricavato delle vendite di “Boccioli nel fango” sarà devoluto a Support and Sustain Children, onlus italiana che opera proprio nelle terre di cui narri. Ci racconti come è nata l’idea di questo libro e di evolvere il ricavato in beneficenza?
Ciao Serena, prima di tutto grazie mille per ospitarmi. Il fatto di devolvere il ricavato del libro alla Onlus Support and Sustain Children è naturale perché sono partita con loro. Ho conosciuto Arianna, fondatrice e Presidente dell’Associazione, una donna che ammiro tantissimo, e Paolo, fotografo, una persona speciale. SSCh è l’unica Onlus presente nel campo spontaneo al confine fra la Turchia e la Siria di cui racconto nel libro. Sono partita con loro proprio per scrivere “Boccioli nel fango” e, acquistandolo, saprete di contribuire non solo a mantenere in vita le persone del campo ma anche a offrire quel “qualcosa in più” di necessario, come l’istruzione.
Trovo il titolo, “Boccioli nel fango” estremamente evocativo. Vorrei che tu ci scrivessi che tipo di fiore hai immaginato sbocciare da quel fango. Insomma, puoi regalarci un piccolo quadro impressionista con questa immagine?
È la prima volta che mi viene fatta questa domanda e non ho mai immaginato alcun tipo di fiore specifico, forse perché non sono particolarmente appassionata di fiori, ma ora che mi ci fai pensare mi vengono in mente quelle piantine che, non si sa come, nascono e crescono fra le crepe dell’asfalto.
In “Boccioli nel fango” veniamo trasportati nella realtà di un campo profughi tra la Turchia e la Siria. Quali emozioni hai trovato durante la stesura del tuo libro?
Il libro è un mix fra il diario di viaggio e una riflessione sulla migrazione forzata. Il diario di viaggio è stato letteralmente copiato dagli appunti da me presi con penna e taccuino durante la missione. Nel trascriverlo quindi ho rivissuto le emozioni provate al campo mentre, scrivendo la parte dedicata alla migrazione forzata e quella riguardo alle violazioni dei diritti umani, ho provato rabbia, come mi capita sempre quando pensiamo al fatto che, nel 2022, ci sono ancora così tante persone – anzi, ce ne sono più che mai – vittime di violazioni dei diritti umani.
Credo che sia importante parlare di questo tuo libro anche perché riporti luce su un fenomeno che è caduto un po’ nell’ombra, complici epidemie e venti di guerra in Europa. Ma la guerra è sempre guerra ed è tremenda, ovunque colpisca. Credo che sia un libro da leggere, con la sua dolcezza e la sua amarezza, con la sua tremenda sincerità. Quanto abbiamo bisogno, secondo te, di testimonianze che vadano oltre i sistemi di comunicazione di massa? Immagino che sia decisamente diverso l’impatto emotivo.
Il mio scopo, andando in questi posti, è quello di entrare in contatto con la gente, parlare con loro, chieder loro il permesso e se hanno voglia di raccontarmi la loro storia così che io poi possa trascriverla e divulgarla come mi viene detta. Può capitarmi di non essere d’accordo con quello che alcune persone dicono, ma non cambio una virgola. Penso che la maggior parte delle notizie che arriva dai grandi media abbia uno scopo, che può essere quello di spaventare il cittadino, di spingerlo a focalizzarsi su una guerra piuttosto che su un’altra, mentre l’obiettivo mio e delle persone come me è quello di dar voce in maniera autentica e non censurata a chi certe cose le sta vivendo o le ha vissute sulla propria pelle.
Nel tuo libro c’è un invito per ognuno di noi. Un invito al cambiamento. Ti faccio una domanda di cui immagino già la risposta, ma voglio sentirla da te: pensi che i libri possano davvero cambiare il mondo? In che modo?
Sì, penso che i libri, e le parole in generale, possano cambiare il mondo. Quando parliamo di migrazione forzata, per esempio, spesso usiamo il termine “rifugiato”. Penso che sia importante, invece, cominciare a parlare di donne, uomini e bambini. In generale, di esseri umani. Allo stesso modo, non penso che dovremmo dire che siamo tutti uguali, perché il termine “uguali” esclude automaticamente le nostre differenze che invece vanno celebrate e valorizzate, non nascoste. Preferisco il termine “equi”. Credo che sia arrivato il momento di prestare più attenzione alle parole che usiamo, sia nella vita quotidiana (anche sui social), sia quando abbiamo la responsabilità di raccontare la storia di qualcuno che non può farlo direttamente.

Che tipo di reazione ha suscitato il tuo libro in chi lo ha letto?
Onestamente, non ho ancora ricevuto riscontri in merito.
In “Boccioli nel fango” c’è la spinta e il desiderio di riscoprirsi umani e solidali. Quali altri valori pensi che possa trasmettere?
I valori principali sono quelli da te citati ma penso che il libro possa divulgare anche il valore dell’accoglienza e della gentilezza. Arianna mi ha raccontato di come, anni fa, quando ha cominciato ad andare al campo, le persone hanno dovuto imparare a fidarsi di lei. Adesso c’è uno scambio fra le persone siriane e le persone italiane. Siamo due culture e due mondi diversi, eppure lì riusciamo a coesistere. Allo stesso modo, non dimenticherò mai la gentilezza delle persone del campo nei nostri confronti. Loro che non hanno niente, che patiscono il freddo ecc. si premuravano perché noi stessimo comodi e al caldo, e ci offrivano il poco cibo che avevano. Nella nostra società occidentale, invece, vedo tanto individualismo ed egoismo, e un focus sull’avere sempre di più, anche a costo di umiliare gli altri, o di mettere loro i piedi in testa. Spero che il comportamento di queste persone, che avrebbero tutte le ragioni di essere rancorose, possa ispirare la gentilezza e l’accoglienza anche nei lettori.
Sono partita con loro (Support and Sustain Children, ndr) proprio per scrivere “Boccioli nel fango” e, acquistandolo, saprete di contribuire non solo a mantenere in vita le persone del campo ma anche a offrire quel “qualcosa in più” di necessario, come l’istruzione.
Maricla Pannocchia
Descrivi “Boccioli nel fango” con tre parole (tre, non barare):
Forte, vero, necessario.
Suggerisci un sottofondo musicale per accompagnare la lettura di “Boccioli nel fango” (se vuoi puoi indicare anche una situazione ideale di lettura, tipo periodo della giornata, luogo, compagnia, ecc):
Non saprei indicare una situazione ideale di lettura, può essere ovunque, purché non ci siano distrazioni. Per il sottofondo musicale ricordo che, mentre ero al campo, una volta mi è venuta in mente una strofa di una delle canzoni dell’opera Notre Dame de Paris, che amo:
“Anche a noi stracci della Terra, la vita piacerebbe bella”.

Un’ultima domanda sulla tua ultima pubblicazione: che cosa vorresti dire a uno di quei bambini costretti a vivere in un campo profughi?
Questa è davvero una bella domanda. D’istinto risponderei che gli direi che lo vediamo. Arianna, Paolo, Fabio, io e tutte le persone che sono in qualche modo legate a SSCh, come i sostenitori, vediamo ognuno di quei bambini e anche degli adulti nel campo. I piccoli, infatti, hanno un disperato bisogno di amore. Credo però che, poiché Arianna si reca al campo ogni due mesi circa, in realtà i bambini sanno che c’è qualcuno che li ama e che crede in loro. Quindi, anche se non sono stata io a far scoppiare la guerra in Siria, direi a quel bambino “scusa” per tutto ciò che non stiamo facendo per fermare quell’orrore e trovare delle reali soluzioni.
Ne ho ancora una che si lega alla precedente. Che cosa diresti, invece, a un bambino che li guarda arrivare in piedi sul lato sicuro della costa?
Gli direi di tendere una mano, e di non guardare al colore della mano che prende la sua. Gli chiederei se ha qualcosa da offrire al bambino che sta arrivando, che sia un giocattolo, del cibo o un po’ di cuore. Gli direi che quel bambino è proprio come lui, con due braccia e due gambe, una testa e un cuore, però è anche meravigliosamente diverso perché parla un’altra lingua e ha un’altra cultura. Adesso quel bambino ha bisogno di supporto e di amore. Gli direi anche che siamo tutti qui, su questa Terra, e che anche se i politici vogliono farci credere il contrario, in realtà non ci sono confini. Ecco che può tendere la mano all’altro bambino, perché non esistono frontiere che possano fermarlo.
“Boccioli nel fango” non è la tua opera prima. Che tipo di storie di piace trattare? Ci racconti perché?
Da sempre scrivo e pubblico storie a carattere sociale. Non saprei spiegarne il motivo, forse è semplicemente perché sono sinceramente interessata a queste tematiche e la rabbia che provo davanti a certe storie è genuina. Ho scritto di ragazzi malati di cancro per via della mia Associazione di volontariato Adolescenti e cancro, dell’amicizia fra una ragazzina “ariana” e una ebrea durante la Seconda Guerra Mondiale, dell’amicizia epistolare fra un’adolescente californiana e una che vive in Afghanistan e poi dei bambini di “Boccioli nel fango”.
Approfondiamo, adesso, il tuo rapporto con la scrittura. Quando e come è nata la tua passione?
Ho cominciato a scrivere storie a sette anni e non ho mai smesso. Non mi sono seduta a un tavolino decidendo che sarei voluta diventare una scrittrice, semplicemente sono nata con questa passione e, con il passare degli anni, grazie all’esperienza e alla pratica, ho affinato sempre più il mio talento.
Che cos’è per te la scrittura?
È parte di me. Non scrivo per la gloria o per i soldi (per fortuna 🙂 ) ma perché sento delle storie e dei personaggi nascere dentro di me e, con loro, il bisogno di esternarle. Per me scrivere è come respirare ed è anche un ottimo modo per usare il privilegio che ho, quello di poter dire la mia opinione senza rischiare la vita.
L’obiettivo mio e delle persone come me è quello di dar voce in maniera autentica e non censurata a chi certe cose le sta vivendo o le ha vissute sulla propria pelle.
Maricla Pannocchia
Qual è la tua routine di scrittura, se ne hai una?
Considerando che di lavoro sono ghostwriter e copywriter scrivo molto spesso, anche se per gli altri. Quando parliamo della scrittura dei miei romanzi, però, non credo di avere una routine. Non sono una che pianifica la trama in anticipo, che fa le schede dei personaggi, eccetera. Di solito so qualcosa sui personaggi principali e so quale sarà il conflitto che dovranno risolvere, ma per il resto mi lascio guidare dall’ispirazione e dai personaggi stessi.
Quali sono per te gli ingredienti che un bel romanzo deve avere?
Autenticità nel senso di una voce originale, di una storia che nasce dal bisogno viscerale dell’autore di condividerla. Capacità lessicali: posso sopportare qualche refuso ma errori grammaticali o uno stile amatoriale mi spingono ad abbandonare il libro.

Qual è la parte più difficile per te nel tuo percorso di ideazione, struttura, scrittura e promozione dell’opera? Perché?
Non c’è una parte del percorso che reputo davvero difficile. Forse quella più noiosa è relativa alla pubblicazione, perché la maggior parte delle case editrici piccole o medie non offre promozione e allora ho deciso, ultimamente, di usare il self-publishing. Questo vuol dire dovermi occupare di tutto, però alla fine mi piace, perché mi dà il controllo totale.
E la parte che reputi più stimolante e divertente?
Promuovere il libro. Mi piace essere intervistata per i blog ma anche in radio o in televisione o partecipare agli eventi dal vivo. Non solo mi piace conoscere le persone, ma anche avere modo di parlare di quella storia che per me significa così tanto.
C’è un autore a cui ti ispiri? Perché?
No.
Quanto è importante, secondo te, la lettura di altri autori per migliorare la propria scrittura?
Penso che leggere sia fondamentale. Agli aspiranti autori che me lo chiedono, dico sempre che devono leggere tantissimo, e non solo quello che gli piace. Personalmente sono una lettrice davvero esigente, ma ci sono degli scrittori il cui stile mi piace molto e che mi hanno portata a migliorare in alcune aree, come le descrizioni dei paesaggi, per cui non sono mai stata particolarmente portata.
Credo che sia arrivato il momento di prestare più attenzione alle parole che usiamo, sia nella vita quotidiana (anche sui social), sia quando abbiamo la responsabilità di raccontare la storia di qualcuno che non può farlo direttamente.
Maricla Pannocchia
Preferisci leggere autori già affermati o emergenti? Perché?
Ammetto di aver letto pochissimi emergenti. Non ho pregiudizi né sugli emergenti né sul self-publishing anche perché, come ho detto prima, io stesso lo uso e io sono tuttora un’emergente. Purtroppo, però, ormai chiunque può pubblicare un libro e, dai testi degli emergenti che ho avuto modo di leggere, ho notato che la maggior parte della gente non sembra smossa da un bisogno di scrivere, di quelli che ti porta a sanguinare e a non dormire la notte per scrivere qualche altra pagina. O forse questa passione e questa motivazione ce l’hanno, ma, per me, non traspare dal libro che hanno pubblicato. C’è da dire che, purtroppo, per una manciata di emergenti di talento, che vivono la scrittura come un’arte e un amore, ce ne sono troppi che non sanno scrivere, a cui mancano le basi, e che pubblicano solo per la gloria o sperando nel best-seller. Quindi, generalmente leggo autori affermati.
Se tu dovessi indicare un’opera che hai letto e che ha cambiato il modo in cui vedi il mondo (intorno a te o dentro di te), quale indicheresti? Perché?
Non credo ci sia un’unica opera che mi ha fatto fare un cambiamento del genere.
Non scrivo per la gloria o per i soldi (per fortuna 🙂 ) ma perché sento delle storie e dei personaggi nascere dentro di me e, con loro, il bisogno di esternarle. Per me scrivere è come respirare ed è anche un ottimo modo per usare il privilegio che ho, quello di poter dire la mia opinione senza rischiare la vita.
Maricla Pannocchia
Che tipo di opere ti piace leggere? Che genere o che stile devono avere? Devono affrontare particolari temi? Raccontaci cosa cerchi come lettore.
Dipende dal periodo. Avendo a che fare spesso con tematiche pesanti, mi capita anche di leggere libri leggeri, proprio per svagare la mente. Altre volte, invece, scelgo letture più impegnate, che affrontano i temi che mi stanno a cuore e che, generalmente, sono scritte da personalità di spicco nel mondo del sociale.
A cosa stai lavorando?
Ora come ora non sto lavorando su alcun progetto personale.
E che cosa puoi anticiparci sui tuoi progetti futuri?
Non so ancora quale sarà il mio prossimo libro. Sono un vulcano d’idee, ma so riconoscere quelle mediocri, quelle buone e quelle eccellenti. Ecco, per me una storia dev’essere eccellente (per il significato che io do a questo termine) perché io cominci a scriverla e ne valuti, eventualmente, la pubblicazione. A luglio andrò una decina di giorni in Cambogia e da tempo ho in mente la trama per un romanzo ambientato lì. Forse, quello sarà il mio prossimo libro.
Oltre alla scrittura e alla lettura, hai altre passioni? Che cosa ci racconti a riguardo?
Sì, i viaggi. Fosse per me sarei sempre in viaggio e per fortuna, lavorando da remoto, posso scegliere quando portare il computer con me e fermarmi in un certo posto per un po’ di tempo. Sono sempre stata appassionata di viaggi ma, per tutta una serie di motivi, prima del Covid ho sempre fatto solamente delle vacanze, e non quei viaggi che ti cambiano la vita. Poi, nel 2019, ho iniziato un percorso di crescita personale fai-da-te e ho sentito il bisogno d’inseguire i miei sogni, quelli che avevo messo nel cassetto da troppo tempo, inclusi i viaggi. E poi è arrivato il Covid! A settembre 2021 sono andata in Marocco (vedere la via Lattea nel deserto del Sahara è valso il viaggio), a gennaio nel campo profughi di cui racconto in “Boccioli nel fango”, ad aprile sono stata una settimana ad Atene per scrivere delle persone supportate da una Onlus locale, e costrette a lasciare i propri Paesi, ma ho anche avuto modo di visitare la città, e adesso sto per partire per la Sicilia, dove trascorrerò quasi un mese sul mare (che adoro, essendo cresciuta in un paesino toscano sul mare) per poi andare una decina di giorni in Cambogia. E dopo? Chi lo sa!
Quale consiglio ti sentiresti di dare a un giovane autore che sogna di pubblicare il suo primo libro?
Non accettare mai di pagare, né per la pubblicazione in sé né per l’acquisto di copie. Se nessuna casa editrice non a pagamento sceglie di pubblicare il tuo libro, opta per l’auto-pubblicazione. Rivolgerti a una CE a pagamento, oltre che farti spendere tanti soldi per niente, rischierà di farti diventare uno zimbello perché chi è nel giro ormai conosce le case editrici da cui stare alla larga, quindi queste persone non penseranno che il tuo libro valga perché sapranno che ti sei rivolto a quella che, in realtà, è una stamperia.
Agire o voltarci dall’altra parte? Aiutare genuinamente o per buonismo? Essere gentili o bulli? Anche quando non facciamo niente, prendiamo una decisione. È importante ricordarlo, perché tutti quelli, fra noi, che non s’informano, che sono razzisti, che vedono profughi di serie A e profughi di serie B e via dicendo, ai miei occhi non sono meno colpevoli di chi queste guerre le ha commissionate.
Maricla Pannocchia
Hai la possibilità di inviare nello spazio una sola opera (che sia una poesia, un racconto, un romanzo) di un autore più o meno conosciuto. L’autore puoi essere anche tu. In questa opera dovrebbe essere raccolto il tuo messaggio a memoria futura. Quale opera scegli e perché?
Non saprei proprio. Fra i miei libri sceglierei “Letters from Afghanistan”, il mio primo romanzo per ragazzi in inglese. Dal titolo può sembrare che lo scopo sia dar voce alle persone afghane, ma in realtà, attraverso l’amicizia via e-mail fra Olivia, quattordicenne californiana, e Basya, coetanea afghana, voglio lanciare un altro messaggio ovvero come tutti noi compiamo delle scelte, ogni singolo giorno. Agire o voltarci dall’altra parte? Aiutare genuinamente o per buonismo? Essere gentili o bulli? Anche quando non facciamo niente, prendiamo una decisione. È importante ricordarlo, perché tutti quelli, fra noi, che non s’informano, che sono razzisti, che vedono profughi di serie A e profughi di serie B e via dicendo, ai miei occhi non sono meno colpevoli di chi queste guerre le ha commissionate.
Risposte secche:
- Casa editrice o self? Casa editrice solo se non a pagamento e fa promozione altrimenti self
- Giallo o nero? Nero
- Struttura a priori o in divenire? In divenire.
- Musica in sottofondo o silenzio? Dipende.
- Prima persona o terza persona singolare? Prima persona singolare.
- Libro cartaceo o digitale? Cartaceo.
- Revisione a schermo o su carta? A schermo.
Ringraziamo Maricla per averci fatto riflettere su un tema così importante e per la sua preziosa testimonianza. Vi ricordo che il ricavato sarà devoluto all’associazione Support and Sustain Children.
Se le sue risposte vi hanno incuriosito, vi suggerisco di approfondire qui:
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