
Estate 2019.
Ho conosciuto la fame e quel senso di vuoto che l’accompagna. Il desiderio di controllo, anzi, l’illusione del controllo. La fame e il vuoto.
Sono stati anni bui quelli dell’anoressia: ne conservo un ricordo dai colori sbiaditi, ma le tracce, quelle, sono ancora visibili. Il pensiero del cibo era ossessione e illusione.
Sono passati anni da quei giorni e sei mesi fa sono diventata madre. Tra i tanti doni che Chiara mi ha fatto c’è stato quello di farsi cibo.
Non avrei mai creduto di riuscire ad allattare. Troppo piccolo il seno, mi dicevano. La montata lattea, poi, non arrivava e Chiara stava perdendo peso: quattrocentoquaranta grammi, tanto, tantissimo per una neonata, in pochissimi giorni. Ecco tornare il momento della bilancia, la prova spietata, l’incubo del crollo. Se prima avevo desiderato vedere il mio peso scendere sempre di più, adesso ogni grammo che Chiara perdeva era una pugnalata, una colpa, la prova della mia inadeguatezza: non riuscire a dare a mia figlia quello di cui aveva bisogno.
Ero sul punto di crollare, mentre la vedevo sparire tra le mie braccia: era sempre più piccola e io sempre più triste. Stavo per mollare, ma ho tenuto duro, perché c’era qualcosa che mi imponeva di farlo.
I figli tirano fuori una forza che credi di non avere: questo è un altro dei loro doni. Così, mentre mille voci intorno mi ripetevano la parola fame, ho scelto di fidarmi della pediatra e ho continuato ad attaccare mia figlia al seno.
Oggi Chiara ha sei mesi e io mi sono fatta cibo. Tra le mie braccia ha trovato calore, conforto, coccola. Ricordo la prima volta che si è staccata dal mio seno e mi ha guardata, poi ha sorriso. Un sorriso sdentato, spontaneo, un sorriso che è diventato il sorriso che ogni giorno mi rimette al mondo. Ecco, quel giorno tutto, anche la sofferenza dell’anoressia, ha avuto senso. Quella curva della bocca e quella luce negli occhi hanno spazzato via il ricordo del dolore e la paura.
Immagina di aver conosciuto la fame. Poco importa se sei stato tu a procurartela o la vita con i suoi strani incroci. Immagina, ecco, e capirai l’emozione di essersi fatto cibo. Di aver sfamato la persona che più ami al mondo, di aver salvato chi ti aveva già salvato.
Sono stata fortunata per questo viaggio che io e Chiara abbiamo intrapreso insieme. La mia bambina, la mia fenice, mi ha mostrato che riscattarsi è possibile, che insieme si è più forti, che anche quando la stanchezza si fa sentire, bisogna tenere duro e stringersi con dolcezza.
Stavo per mollare, qualcuno mi diceva che non sarei riuscita ad allattare. Me lo avevano ripetuto anche alcuni operatori sanitari e io mi sentivo sempre più inadeguata e in colpa. Non sarebbe stato niente di grave, certo, non si è meno madri dando il latte in formula, ma per me c’era qualcos’altro. Farsi cibo aveva un significato troppo profondo per non fare un tentativo in più, per non arrendersi di fronte a queste difficoltà. Ed è questo che Chiara a pochi giorni di vita mi ha insegnato: mai gettare i remi, anche quando la riva sembra impossibile da raggiungere. Ho messo da parte la paura del giudizio e quel profondo senso di inadeguatezza. Anche se ogni tanto tornano a farsi sentire, ho imparato a nuotare abbracciata a mia figlia.
Forse vi starete chiedendo perché scrivo proprio oggi queste parole. Non è stato facile fare i conti con i miei fantasmi… ma credo che Chiara si meriti trasparenza e coraggio. Oggi, a svezzamento appena iniziato, ricordo quando mi dicevano che non ce l’avrei fatta, le notti passate a piangere in bagno, cercando nei forum di mamme confronto o conforto. Ripenso alle volte in cui mi sono sentita sola, anche se non lo ero davvero. Guardo la strada fatta, le distanze percorse, e vedo che sulla sabbia accanto alle mie ci sono altre impronte. La mia vuole essere una testimonianza di speranza, che porti conforto a chi conosce la fame, a chi non l’ha mai conosciuta. E a tutte coloro che stanno lottando con un allattamento a volte faticoso e difficile. La vicinanza: questo è un altro degli insegnamenti di mia figlia Chiara.
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