Due notti. Quello che i neonati sentono (e non dicono)



Primavera 2019.


È successo per due notti senza un apparente motivo. Due notti lontane, ma simili. In scena lo stesso copione: Chiara non ha alcuna intenzione di addormentarsi, vuole essere tenuta in braccio e solo con me non piange. Ride quando la poso accanto a me, nel lettone, ma poi riprende a strillare ancora più forte e si consola solo dopo molte carezze, molte parole e il seno.

Penso alle coliche, ne soffre dalle prime notti di vita, ma il suo pianto è diverso. Sembra che voglia dirmi qualcosa, ma io sono stanca, mi sento in colpa per essere tornata al lavoro e perché adesso vorrei essere a dormire e non a calmare una neonata.

Lo sente, Chiara? Sente tutto questo? Rifiuto il pensiero, finalmente è crollata e anche io posso dormire. Domani andrà meglio… domani andrà meglio.

C’è un messaggio nella chat delle ragazze del corso preparto. Siamo rimaste in contatto, ci aggiorniamo con i progressi dei nostri bambini, ci sfoghiamo, chiediamo consigli. Una mamma ci confida che suo figlio negli ultimi giorni è diventato mammone: non la molla un secondo, vuole solo lei, se si allontana piange. Sarà una fase, viene da dirsi. Una tappa come le altre da affrontare nel momento della crescita. Penso che anche Chiara stia attraversando questo momento: le due notti sono solo la prova più grande, ma anche durante il giorno, soprattutto alcuni giorni, è diversa. Giorni, sì, ma quelle due notti in particolar modo. Ripenso, cerco di analizzarle a mente lucida: era successo qualcosa? Come stavo io quelle notti? Prima che iniziasse a strillare, avevo fatto qualcosa?

Continuiamo a confrontarci, tra di noi e piano piano si fa strada una consapevolezza: non erano episodi scollegati, c’era qualcosa di più profondo a unirli. Erano una risposta a un nostro modo di porci, a quello che sentivamo dentro e che, in qualche modo, era arrivato ai nostri figli.

Le due notti, quelle in cui Chiara era inconsolabile, erano le notti dei giorni in cui mi ero assentata per andare al lavoro. Mi sento un verme, Chiara ha sofferto troppo la mia mancanza: era con suo padre o con suo nonno, non era sola ed era solo per un paio d’ore. Mi sto giustificando con me stessa, perché spesso i sensi di colpa che ci corrodono dentro sono le voci degli altri che abbiamo interiorizzato: sono entrate, quelle voci, da un orecchio a volte in apparenza distratto. Poi non hanno più trovato una via d’uscita e sono rimaste lì, a ripetere la stessa frase come un’eco tra le montagne.

Scoppio a piangere, la porto al petto, le sussurro Scusa all’orecchio. La bagno, la bagno con le mie lacrime e le dico che la amo. Chiara sorride, poi stringe la bocca e si sforza per alzare la sua mano fino al mio viso: mi regala una dolcissima carezza. Sente quello di cui ho bisogno più di quanto non sia in grado di farlo io. Siamo legate, io e Chiara, e il filo ha una doppia trama.

C’è un altro messaggio nella chat del corso preparto. Chi lo scrive è da poco diventata mamma del secondo bambino e ci offre una prospettiva diversa, una che può alleviare il senso di colpa e ricordarci che siamo amore. Siamo legati ai nostri bambini e loro sentono quello che sentiamo. Sentono anche il nostro dolore, il nostro senso di inadeguatezza, e forse così cercano di consolarci, di starci vicini.

Mamma, non ti preoccupare, ci sono qui io.

Questo diceva Chiara quelle notti, con quel pianto.

Mamma, hai bisogno di me, non allontanarmi. Non allontanarti. Restiamo qui vicine, abbracciate. Insieme siamo forti.



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2 risposte a “Due notti. Quello che i neonati sentono (e non dicono)”

  1. Avatar Liliana Martissa
    Liliana Martissa

    Mi piace. Ben scritto e originale.

    Piace a 1 persona

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