“Fuori dall’algoritmo” – Paolo Zagari

Intervista all’autore di “Fuori dall’algoritmo”, Paolo Zagari

Paolo Zagari, laureato in lettere moderne, scrittore, documentarista, critico cinematografico, regista televisivo. Tennis, cinema, gatti e matrimoni sono la sua vita, oltre la scrittura. Fuori dall’algoritmo è il suo ultimo romanzo.


Ciao Paolo. Devo ammettere che la copertina del tuo libro, “Fuori dall’algoritmo”, mi ha colpita molto. È ricca di elementi e di richiami alla storia, come i libri, la bomba a mano e gli abiti femminili. Ci racconti come è stata scelta questa copertina e che cosa rappresentano queste immagini?

Guarda l’idea al principio era quella di fare una copertina che richiamasse la locandina del film “Le invasioni barbariche” per evocarne le atmosfere di commedia brillante e amara al contempo. Ma era troppo riconoscibile. Allora digitando la parola “libri” sul web è uscita fuori un’immagine di una composizione di libri che assomiglia vagamente a quella della copertina. Siccome il mio romanzo è ambientato all’interno di una fiera letteraria, l’idea è stata di inserire in questa sorta di scaffale disordinato degli elementi all’apparenza surreali, la bomba a mano, il reggiseno, una tazzina di caffè fumante, un Nokia 3310, una scarpa rossa col tacco a spillo e delle cuffie, che in realtà sono tutti oggetti pertinenti alla storia raccontata e ai suoi personaggi. Che è appunto una commedia rocambolesca piena di vita, sesso, amore, morte, dramma, felicità, caos, fallimenti e riscatto.


“Fuori dall’algoritmo” come a dire fuori dagli schemi. Penso che questo titolo sia calzante sia per la vicenda narrata sia per il processo mentale e sentimentale a cui il protagonista Samuel viene sottoposto. Non solo. Anche al lettore viene offerta la possibilità di andare oltre un rigido schema. La particolarità della tua opera è che al monologo iniziale di Samuel vengono contrapposti monologhi di altri personaggi tutti incentrati sulla stessa vicenda. Diversi punti di vista che ci aiutano a capire l’oggettività delle cose, sempre ammesso che l’oggettività esista. Paolo, quanto è importante per te rompere gli schemi?

L’algoritmo individua una tipologia di comportamento e di questo comportamento ne studia i consumi. Sei single? verrai sommerso di proposte per viaggi dove è facile fare amicizie nuove. Sei sposato? sarai sommerso di proposte per vacanze familiari col baby club a prezzi molto economici. Ma l’algoritmo non si chiede perché tu sei single o perché sei sposato, non sa qual è la tua storia di gioia, disperazione, aspettative disilluse e felicità irrisolta. Io ho cercato di raccontare tutto il mondo che c’è dietro al concetto di algoritmo legato al consumo. Per sintetizzare: l’algoritmo esiste. Ma esistiamo pure noi! 


Ho una curiosità da autrice: mi racconti come hai lavorato alla creazione dei vari personaggi e dei loro monologhi? Hai visualizzato mentalmente la scena da più angolazioni prima di scrivere?

No, ho lavorato in fieri, cioè mano a mano che scrivevo si è concretizzata questa storia a più voci. Sono partito dal monologo di Samuel, lo scrittore nevrotico che nel giorno in cui presenta il suo nuovo libro alla fiera letteraria, che dovrebbe essere il suo momento di gloria, si ritrova assediato dalle donne della sua vita, le tre mogli, la figlia, e le amanti tutte venute per avere una copia autografata del suo libro. È una situazione tragicomica che Samuel vive con grande partecipazione psicologica ed emotiva che per un nonnulla non sfocia in un autentico dramma. Terminato il monologo di Samuel mi sono chiesto: ma tutte queste donne e gli altri personaggi incontrati da Samuel come hanno vissuto quella medesima situazione? E cioè il punto di visto può modificare la narrazione di una storia? E la risposta è incredibilmente positiva. Sì, il punto di vista cambia radicalmente la percezione della realtà e infatti ogni personaggio sembra raccontare una storia diversa mentre i fatti sono sempre gli stessi. Come diceva Chabrol “La verità ha molte facce, la menzogna una sola”.


“Fuori dall’algoritmo” è una vera e propria commedia: si ride, si riflette ridendo. Ci sono situazioni assurde, incontri che probabilmente il protagonista non avrebbe desiderato, e anche sesso e passioni. Paolo, nasci autore di commedie o ci diventi? È sempre stata questa la tua vocazione?

Ho sempre avuto una passione per le commedie, la comicità e il teatro dell’assurdo. Stanlio e Ollio, Woody Allen, Beckett rappresentano degli step fondamentali della mia formazione culturale.


Se intrecciamo la commedia all’alternanza di monologhi, se focalizziamo l’attenzione su un tempo comune e un comune spazio, è impossibile non pensare al teatro. Sono curiosa di sapere se pensi che “Fuori dall’algoritmo” possa trovare anche altre forme di espressione, come la rappresentazione teatrale, e se tu, Paolo, frequenti e ami il teatro?

Col teatro ho avuto un rapporto “sentimentale” e quindi come in una lunga storia d’amore piena di alti e bassi, di separazioni e riappacificazione. Ho fatto da giovane l’Accademia d’arte drammatica Silvio D’amico come attore e poi ho recitato, mi ricordo un’esperienza incredibile, nel ritorno di Marcello Mastroianni alle scene con “Partitura incompiuta per pianola meccanica” di Cechov, per la regia di Nikita Michalkov. Poi ho preso un’altra strada, critica cinematografica, letteratura e televisione e ora mi sto piano piano riavvicinando, anche perché come dici giustamente, “Fuori dall’algoritmo “si presterebbe molto a una trasposizione teatrale. La scorsa estate abbiamo fatto una sorta di lettura teatrale in Versilia del primo episodio “Samuel Carato” interpretato da Francesco Acquaroli, il Samurai di “Suburra” ed ha avuto un ottimo riscontro col pubblico.  Come si dice… se son rose fioriranno.


Samuel Carato, il protagonista, è uno scrittore. All’inizio del libro lo troviamo intento a firmare le copie del suo ultimo libro durante la Fiera del Libro “Se vuoi volare, leggi!”. A chi ti sei ispirato per la creazione di questo personaggio?

L’ispirazione è tratta dalla realtà nuda e cruda. Mi è capitato di partecipare a diverse fiere letterarie, dal Salone del libro di Torino alla Fiera della media e piccola editoria di Roma, sia come giornalista che come scrittore. E ho sempre pensato che il pubblico che fa la fila per avere la sua bella copia autografata non si immagina nemmeno lontanamente quanta vita, complicata, incasinata, vorticosa può esserci dietro quell’autografo o quel sorriso. E ho pensato quindi di rappresentarlo. A modo mio.


Oltre a Samuel sono presenti molti altri personaggi, appunto. La maggior parte sono le donne che hanno in qualche modo avuto un ruolo fondamentale nella sua vita. Che cosa puoi dirci su ognuna di loro?

Il romanzo è composto da una introduzione e sette personaggi, tre uomini e quattro donne. Come dicevo tutti i personaggi in qualche maniera sono intrecciati tra loro. Artemisia Ramazzotti è l’ultima moglie di Samuel che comunica la propria volontà di divorziare proprio la mattina in cui il marito presenterà il suo libro. È una donna allegra solare, aperta al mondo e capace di fare più cose contemporaneamente, come lasciare il marito, andare col sorriso a farsi firmare la copia e innamorarsi di un’altra donna. Dora Flora, la prima moglie di Samuel, è una psicologa comportamentista, intelligente, bella, spigliata con una caratteristica principale: è una classificatrice seriale. Le basta sentire che profumo usi o che pastarella scegli per farti un quadro esatto dei tuoi pregi, dei tuoi difetti e delle tue manie. Giuseppina Santilario è la madre della figlia di Samuel, Agnese, è una professoressa di liceo anticonformista, selvaggia, che cerca di godersi la vita minuto per minuto senza sensi di colpa o tentennamenti. Il suo mondo gira attorno a due stelle di riferimento: il sesso e gli avvocati.


Nella tua commedia è presente anche Viola, la madre di Samuel, il protagonista. L’esser madre, nel suo caso, si sposa anche con quell’immagine castrante della madre onnipresente e chioccia di cui la tradizione italiana popolare è piena. Che cosa puoi dirci su di lei? Come è nato questo personaggio?

La tradizione italiana, certo ma anche quella ebraica. C’è un film “New York Stories” in cui nell’ episodio diretto da Woody Allen a un certo punto si materializza nel cielo un’enorme figura. È la madre del protagonista che lo controlla come e peggio di un dio. Ecco quella immagine è l’ispirazione paradossale e realistica al contempo del personaggio di Viola Della Rosa, la madre di Samuel Carato. 



Per avere una visione completa delle cose, occorre osservare da diverse angolazioni. Quanto sei d’accordo con questa espressione?

In questo romanzo è molto importante la struttura tecnico narrativa. Mutuandola dal cinema ho usato quella che viene chiamata “soggettiva”, cioè quando la camera viene messa all’altezza degli occhi di un protagonista per vivere direttamente il suo punto di vista. È una tecnica che ha un forte impatto emotivo ed è usata quando si vuole comunicare esattamente la sensazione provata dal protagonista. Ecco, questa tecnica mi ha permesso di comunicare le emozioni “in presa diretta” dei protagonisti che attraverso la loro percezione modificano in continuazione una realtà oggettiva comune a tutti. Naturalmente l’altro ingrediente importante è il fatto che non esiste giudizio. Ognuno agisce secondo la propria coscienza e quindi in perfetta buonafede, anche se dall’esterno tali comportamenti potrebbero essere considerati moralmente non ineccepibili.


Descrivi “Fuori dall’algoritmo” con tre parole (tre, non barare):

Scoppiettante, ironico, analgesico.


Suggerisci un sottofondo musicale per accompagnare la lettura di “Fuori dall’algoritmo” (se vuoi puoi indicare anche una situazione ideale di lettura, tipo periodo della giornata, luogo, compagnia, ecc):

Il momento ideale è dopo aver bevuto, in un bel bistrot metropolitano, il primo calice di champagne, quando si è pervasi da quella leggerezza data dall’alcol e dalle bollicine e i freni inibitori cominciano a sciogliersi. Poi però al secondo bicchiere è meglio cominciare a parlare con qualcuno… La musica, non so, direi Rose Rouge dei St Germain. Un jazz ossessivo e moderno perfetto per una commedia metropolitana.



Facciamo un passo indietro. Quando e come è nata la tua passione per la scrittura?

Da ragazzo quando avevo circa 15 0 16 anni lessi “Lessico famigliare “di Natalia Ginzburg. Le mandai una lettera perché il libro mi era piaciuto molto. Lei mi volle conoscere e quando le parlai delle mie aspirazioni, tra le quali anche quella di scrivere lei mi disse: “Per scrivere, devi leggere! E devi cominciare dai russi: tutti!” Io la presi alla lettera e dopo aver letto quasi integralmente Cechov, Dostoievski, Tolstoy, Gogol e Bulgakov, dissi a me stesso: adesso sono pronto. O meglio: Adesso posso provare a cominciare a scrivere…


Che cos’è per te la scrittura?

Rispondo col finale del monologo di Samuel Carato l’attimo esatto in cui decide di non suicidarsi: “il dito rimane immobile, capisco all’improvviso che l’unica salvezza è la scrittura, sin da bambino è stata la mia fuga dalla realtà, la mia vita, la mia arte nascosta e non importa se non guadagno e resterò un poveraccio, scrivere è l’unica vita possibile, è l’unico amore possibile. E questa è una storia bellissima. E ora comincio a scriverla.”


L’algoritmo non si chiede perché tu sei single o perché sei sposato, non sa qual è la tua storia di gioia, disperazione, aspettative disilluse e felicità irrisolta. Io ho cercato di raccontare tutto il mondo che c’è dietro al concetto di algoritmo legato al consumo.

Paolo Zagari

Qual è la tua routine di scrittura, se ne hai una?

La mia routine è darmi un ritmo, e in quel ritmo cadenzare lo sviluppo della scrittura. Quando comincio un romanzo mi impongo che ogni giorno devo scrivere almeno duemicinquecento battute. Non importa quando dove o come, tutte di seguito o in diverse fasi della giornata. Una volta finito “il compito” non correggo subito, ma il giorno dopo. E questa correzione serve a entrare ogni giorno nello spirito di quello che sto scrivendo e da esso farmi contagiare.


Ci racconti come hai lavorato per la stesura e la pubblicazione di “Fuori dall’algoritmo”?

È un romanzo che è venuto un po’ da solo. Come dicevo ho cominciato col monologo di Samuel Carato e poi ho capito che la storia si poteva sviluppare raccontando anche il punto di vista degli altri personaggi, che alla fine si sono incastrati come in un gioco di scatole cinesi, e cioè ognuno apparentemente a sé stante ma in realtà collegati, direi di più, interdipendenti l’uno dall’altro. Se non c’è l’individuo non esiste la vita, se non c’è l’altro non esiste il mondo.


Quali sono per te gli ingredienti che un bel romanzo deve avere?

Credibilità, passione, ironia, abile tessitura drammatica, e uno a scelta tra profondità e leggerezza. Se poi si riesce a unire la profondità alla leggerezza, siamo quasi al capolavoro.


Qual è la parte più difficile per te nel tuo percorso di ideazione, struttura, scrittura e promozione dell’opera? Perché?

Sicuramente promozione. Uno scrittore quando appone la parola fine sente di avere esaurito il proprio compito. E invece e appena all’inizio. All’inizio di un campo, la promozione di cui odia conoscere le coordinate e nel quale cammina con l’agilità di un elefante in un negozio di cristalleria.


E la parte che reputi più stimolante e divertente?

La rilettura. È una grande soddisfazione rileggere quello che hai scritto e correggere, modificare, tagliare senza pietà. È il vero processo creativo e il vero termometro del talento di uno scrittore. Andare oltre se stessi. Il consiglio che posso dare è: siate abbondanti nello scrivere, non vi risparmiate. Ci sarà ancora più gusto a sforbiciare il proprio ego.


C’è un autore a cui ti ispiri? Perché?

Ce ne sono talmente tanti che mi riesce difficile rispondere. Ma in questa fase e forse per questo libro ne voglio citare tre: il primo è Bulgakov. Ho di recente riletto il Maestro e Margherita e sono rimasto stupefatto dal suo talento letterario e creativo. In quel romanzo c’è tutto: la comicità, il dramma, la denuncia politica, la satira, il magico, Dio e la sua assenza. Veramente formidabile. Poi un autore di fumetti francese ormai dimenticato Lauzier, che a metà degli anni Ottanta scrisse un albo dal titolo “Tranches de vie” in cui raccontava con spietata ironia le nevrosi della borghesia intellettuale francese. Cinismo e compassione viaggiavano a braccetto in un racconto dove era impossibile non ridere di se stessi. Per ultimo voglio citare Peter Bogdanovich un regista di (non solo) commedie raffinatissimo morto quest’anno. In particolare il suo film “Ma papà ti manda sola” con Barbara Streisand e Ryan O’Neal un trionfo di comicità, un omaggio alla sophisticated comedy dove gli eventi si svolgono durante una convention di scienziati. Un po’ come “Fuori dall’algoritmo” l’azione si rifà al canone aristotelico dell’unità di tempo di spazio e di luogo.


Quanto è importante, secondo te, la lettura di altri autori per migliorare la propria scrittura?

Moltissimo, Ma non solo la lettura: il cinema, il teatro, la pittura, la cucina, una partita di tennis. In una parola: vivi e scriverai meglio. O almeno avrai qualcosa da scrivere.


Terminato il monologo di Samuel mi sono chiesto: ma tutte queste donne e gli altri personaggi incontrati da Samuel come hanno vissuto quella medesima situazione? E cioè il punto di visto può modificare la narrazione di una storia? E la risposta è incredibilmente positiva. Sì, il punto di vista cambia radicalmente la percezione della realtà e infatti ogni personaggio sembra raccontare una storia diversa mentre i fatti sono sempre gli stessi.

Paolo Zagari

Preferisci leggere autori già affermati o emergenti? Perché?

Non ho preferenze. Diciamo che dopo aver letto i classici la scelta si basa su quattro fattori principali: il consiglio, l’eco, la casualità e non ultimo, la capacità attrattiva di una copertina. Il consiglio che posso dare (che è anche quello di Dora Flora all’interno del suo monologo) se siete in libreria non scegliete un libro dall’incipit, di solito è molto preparato, studiato, anche bello ma troppo costruito. È meglio aprire una pagina a caso, leggere qualche riga e farsi un “idea sul campo”.


Credi che la scrittura e la lettura possano cambiare il mondo? Se sì, in che modo?

Un libro può cambiare una vita individuale. Non il mondo. A meno che il mondo non sia composto da vite individuali. In quel caso tutti proverebbero le stesse emozioni e il mondo potrebbe cambiare. Ma se tutti provassero le stesse emozioni non sarebbero più vite individuali.


Se tu dovessi indicare un’opera che hai letto e che ha cambiato il modo in cui vedi il mondo (intorno a te o dentro di te), quale indicheresti? Perché?

Non amo fare classifiche, non riesco a individuare un autore, ogni fase della mia vita è stata scandita da un tipo di lettura, un tipo di lavoro, un tipo di amore. Se dovessi dire chi mi ha fatto capire che la narrazione non deve rispettare nessun pregiudizio ideologico e rispondere a nessuna teoria, con la sua opera e con questa frase “Un’opera in cui vi siano delle teorie è come un oggetto cui non si sia tolto il cartellino del prezzo” è Marcel Proust con la Recherche.


Che tipo di opere ti piace leggere? Che genere o che stile devono avere? Devono affrontare particolari temi? Raccontaci cosa cerchi come lettore.

Ho due regole ferree: mai leggere di seguito due libri dello stesso autore, bisogna sempre far passare un po’ di tempo altrimenti tutto l’entusiasmo appassirà in una sorta di deludente deja vu. Alternare i generi: dopo un giallo leggere un dramma e dopo un dramma una commedia e dopo una commedia un classico e dopo un classico, un saggio e dopo un saggio un esordiente dopo un esordiente ricominciare dal giallo… e poi mi ha molto colpito la frase di autore americano di cui non mi ricordo il nome che diceva ”Per amare uno scrittore bisogna evitare di conoscerlo…”


In questo romanzo è molto importante la struttura tecnico narrativa. Mutuandola dal cinema ho usato quella che viene chiamata “soggettiva”, cioè quando la camera viene messa all’altezza degli occhi di un protagonista per vivere direttamente il suo punto di vista. È una tecnica che ha un forte impatto emotivo ed è usata quando si vuole comunicare esattamente la sensazione provata dal protagonista. Ecco, questa tecnica mi ha permesso di comunicare le emozioni “in presa diretta” dei protagonisti che attraverso la loro percezione modificano in continuazione una realtà oggettiva comune a tutti.

Paolo Zagari

A cosa stai lavorando?

Una serie gialla. Le indagini di Pietro Maraschino. Pietro Maraschino è un giornalista di cronaca nera sui generis, anarchico ramingo e antiretorico per eccellenza. Non sopporta i luoghi comuni, le idee prefabbricate, non capisce il politicamente corretto, è spiazzato davanti alle riunioni di redazione dove il servizio si imposta sulla carta o sulla necessità dell’indice di ascolto. Non ha schemi, non ha dio, non crede nel potere e nei suoi derivati. Gli basta una gatta, bere un bicchiere di vino, amare quando è possibile e lavorare bene. E lavorare bene nel suo campo significa stare per strada guardare osservare, parlare, cercare di capire che di solito non vuol dire avere soluzioni a portata di mano ma accumulare dati, sensazioni, vite, umori, metterle insieme e attraverso la magia della sinapsi ricostruire il puzzle della verità. 



E che cosa puoi anticiparci sui tuoi progetti futuri?

Sono molto preso dalla scrittura di questa trilogia di Maraschino che potrebbe essere anche un’ottima serie televisiva. Ho appena finito il secondo episodio e mi accingo a scrivere il terzo.


Credibilità, passione, ironia, abile tessitura drammatica, e uno a scelta tra profondità e leggerezza. Se poi si riesce a unire la profondità alla leggerezza, siamo quasi al capolavoro.

Paolo Zagari

Oltre alla scrittura e alla lettura, hai altre passioni? Che cosa ci racconti a riguardo?

Cinema in primis, il mio antidepressivo preferito. Poi amo molto cucinare e andare in giro per il mondo a cercare la bottiglia giusta. La pittura, e sogno mostre con non più di dieci opere. Il limite massimo che la memoria visiva ed emozionale può trattenere. Naturalmente sport, calcio da vedere e tennis da praticare in campo e come filosofia di vita.


Quale consiglio ti sentiresti di dare a un giovane autore che sogna di pubblicare il suo primo libro?

Leggere, naturalmente, leggere tanto, non troppo, o almeno non troppo da ottundere la vita reale. E poi non fidarsi delle proprie idee. O meglio ricordare che un’idea, anche la più originale e brillante che ci sia, non è sufficiente per scrivere un libro: occorrere svilupparla questa idea, darle corpo, sostanza, ritmo, e soprattutto darle un inizio, uno sviluppo, e una fine. Per ultimo cercate una persona di cui fidarvi. Fidarvi per gli incoraggiamenti e fidarvi per le critiche.


Hai la possibilità di inviare nello spazio una sola opera (che sia una poesia, un racconto, un romanzo) di un autore più o meno conosciuto. L’autore puoi essere anche tu. In questa opera dovrebbe essere raccolto il tuo messaggio a memoria futura. Quale opera scegli e perché?

Manderei un romanzo di Woodhouse, un grande umorista del secolo scorso “Lasciate fare a Psmith” per poter dire con forza all’alieno che lo raccoglie “Vi ricordate la terra, quel pianeta dove vivevano gli umani, quegli strani esseri che non hanno vissuto nemmeno un minuto della loro esistenza senza combattersi in guerre spaventose tra loro, e che hanno portato il loro pianeta all’estinzione? beh quegli umani sapevano anche ridere. E oggi di loro è rimasto solo questo romanzo”.


In una parola: vivi e scriverai meglio. O almeno avrai qualcosa da scrivere.

Paolo Zagari

Risposte secche:

  1. Casa editrice o self? CASA EDITRICE
  2. Giallo o nero? Giallo
  3. Struttura a priori o in divenire? IN DIVENIRE
  4. Musica in sottofondo o silenzio? Sottofondo
  5. Prima persona o terza persona singolare? PRIMA
  6. Libro cartaceo o digitale? CARTACEO
  7. Revisione a schermo o su carta? SCHERMO

Ringraziamo Paolo per le sue risposte così sincere, ricche di spunti, brillanti. Vi consiglio di approfondire qui:



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