“Standing ovation” – Luisa Di Falco

Intervista all’autrice Luisa di Falco


A raccontare, a raccontarvi, a farvi attraversare da sguardi e plausi. Tutto è pronto. Si apre il sipario.

Luisa Di Falco

Gioventù, studio e passione. Il teatro e la scrittura. Le emozioni e le immagini. Anche questo è parte di Luisa, autrice di “Standing ovation“.

Luisa Maria Di Falco nasce a Napoli nel ’99. L’ enorme passione per il teatro, la musica e la scrittura la accompagnano sin da bambina. È laureata triennale in Lingue, culture e letterature moderne europee (Federico II) e si diletta tra palcoscenici locali.



Ciao Luisa! Sono sempre molto felice di ospitare giovani autrici! La copertina del tuo libro, “Standing ovation”, oltre che il titolo, mi hanno subito richiamato alla mente il teatro. Ho poi scoperto che è una delle tue passioni. Il protagonista del tuo libro è proprio un attore. In che cosa siete simili e in che cosa siete diversi?

Ciao Serena, innanzitutto voglio ringraziarti per questa bella opportunità. Dunque, tra me ed il protagonista c’è un legame profondo. La nostra passione per il teatro è viscerale, archetipica come solo il nostro stacanovismo può essere. La nostra vita, burrascosa, si ferma ad un bivio: io, lascio sfogare tali burrasche su carta mentre lui, beh, è più dedito al vizio.


Anni fa, ti confesso, anche io ho bazzicato il palco del teatro. So che è una domanda che esula un po’ dalla scrittura, ma la scrittura sarà lo strumento con cui risponderai. Puoi provare a raccontare ai nostri lettori i dieci secondi che precedono l’ingresso sul palco di un attore?

Credo sia un momento di pura ascensione: dal momento in cui riecheggia il “chi è di scena”, il corpo muta. Ogni venuzza, ogni increspatura si riempie, si gonfia e cambia forma… ti rendi conto che fragilità ed insicurezze, complessi e sensi di colpa, quelli, li hai lasciati in camerino, assieme alla tua t-shirt anonima e i pantaloni che indossi sempre. Tenebra e demoni, invece, sono nel cassetto accanto, quello appena sopra allo scomparto in cui riponi le scarpe che usi per correre, senza fermarti, dal teatro a casa, ogni singolo giorno giorno. Non hai più indosso la puzza del “Ritenta, sarai più fortunato”. Piacere ed orgoglio dilatano le pupille; il riflettore ne evidenzia la profondità. Mancano giusto 3 passi, urli “grazie” al direttore e lo scricchiolio delle tavole si fa battito cardiaco. Tu e le tavole vi fondete, stringete la mano al personaggio, gli augurate tanta merda e siete lì, pronti. A raccontare, a raccontarvi, a farvi attraversare da sguardi e plausi. Tutto è pronto. Si apre il sipario.


Un attore squattrinato, un teatro chiuso e abbandonato. Questi sono due degli elementi che aprono il tuo libro. Secondo te sono rappresentazione anche della società culturale contemporanea?

Fortunatamente, no. Dopo il caos pandemico, finalmente i teatri hanno ripreso la capienza massima e tutto si avvia alla normalità. Fino ad un annetto fa, però, la situazione era esattamente questa. Credo fermamente che abbiamo rischiato di veder morire le arti sotto il peso delle restrizioni.


“Standing ovation” è ambientato durante la Seconda guerra mondiale. Da dove nasce questa scelta?

Questa è una scelta dettata dalla necessità di parlare di una situazione da “lotta al nemico-virus” senza giocare troppo col fuoco. Per questo motivo, omaggiando Manzoni, ho deciso di spostare lo scenario devastato della mia storia ad un secolo prima. Della Seconda guerra mondiale, ormai, si sa fin troppo (spendere del tempo per ricordarne le vicende, tuttavia, non è mai abbastanza); oltretutto, è sconvolgente il modo in cui il linguaggio pandemico richiami il campo semantico della guerra. In conclusione, ho spostato il calendario un po’ più indietro, così da descrivere e denunciare le difficoltà che i lavoratori dello spettacolo stavano vivendo in pandemia, con i teatri chiusi e, tra le braccia, una Cultura morente senza, però, urtare la sensibilità di chi stava vivendo situazioni spiacevoli proprio in quel momento.


Mi è capitato di ospitare un’autrice di romanzi storico-politici. Faccio a te una delle domande che avevo posto anche a lei: ci racconti com’è il lavoro di ricerca delle fonti per la giusta costruzione dell’ambientazione?

Ogni dettaglio è importante: mi sono circondata di libri, manuali, documentari di ogni genere per evitare il falso storico. Ho impiegato molto tempo a costruire uno scenario che fosse plausibile. La mia fortuna è stata il non aver delineato un periodo troppo preciso; quindi, non ho dovuto fare attenzione ai giorni, le ore ed i minuti che separavano un’innovazione tecnologica da un qualsiasi altro studio.


Il protagonista, un attore squattrinato, si chiude appunto in un teatro abbandonato e decide di scrivere la sua ultima opera. Si prepara, scrive, corregge. Avete un modo simile di lavorare ai testi tu e lui?

Direi proprio di sì, entrambi diveniamo strumento delle parole: le emozioni ci attraversano come fossimo cavi elettrici ed accendono la lampadina che illumina il foglio. È solo dopo un certo periodo di tempo che possiamo rileggere quelle parole in modo razionale ed apportarvi modifiche.


Un personaggio che sembra precipitare sempre più nell’abisso della follia, facendo i conti anche con i propri demoni. La prefazione è un vero e proprio elogio alla follia che ci ricorda Erasmo da Rotterdam. Che cos’è per te, Luisa, la follia? E perché andrebbe riscoperta?

Credo la si possa definire più semplicemente opponendola all’omologazione ed alla massificazione. La follia è quella spinta irrazionale, la forza vitale dell’essere umano… insomma, quello sguardo più colorato su un mondo altrimenti grigio e spento.  Alle volte, può sfuggire di mano creando una condizione patologica \psichica che identifica una mancanza di adattamento nella società e non sempre consapevole. Molto spesso, però, la follia\l’irrazionalità\la spinta vitale può trovare sfogo nelle arti o nelle geniali intuizioni.

Nel caso del nostro Protagonista, invece, la reclusione sicuramente amplifica una condizione di disadattamento preesistente. Tale disadattamento, però, è dovuto proprio al fatto che il nostro attore viene isolato proprio perché spinge il suo sguardo oltre i confini del convenzionale.


Impossibile non pensare al concetto di meraviglia e di bellezza. Porto avanti un progetto chiamato “Ecco: filosofia della bellezza” che si basa proprio sull’educazione e sull’esercizio a riscoprire la bellezza. Visti questi temi, mi sembra d’obbligo la domanda: che cos’è per te la bellezza?

È l’espressione più naturale dell’emozione umana. L’impeto e la tempesta, la gioia e la spensieratezza, il senso di freddo e nostalgia che può scaturire da qualsivoglia espressione d’arte, da un bel paesaggio, da note musicali ponderate o da suoni generati a caso, da una figura sinuosa o un sorriso, magari del neonato a cui fai le smorfie in pullman. Tutto ciò che lascia attonito ma che riempie d’esperienza e di domande.



Ho un’altra curiosità prima di passare ad aspetti più generali della tua opera e del tuo rapporto con la scrittura: perché l’attore protagonista non ha un nome?

Ho preferito lasciarlo anonimo affinché ognuno possa sentircisi vicino. Volevo lasciare la libertà ai lettori di immedesimarsi il più possibile in lui. Il Protagonista è un essere umano ed in quanto tale ha vizi, virtù, desideri e rimpianti. Credo che lasciarlo senza nome e senza descrizioni precise sia l’unico modo per non limitarne l’essenza e la conoscenza. La lettura così diventa un appuntamento al buio o un viaggio attraverso lo specchio ed il proprio riflesso.


Che tipo di storia, quindi, dobbiamo aspettarci di trovare in “Standing Ovation”?

Direi una confessione che veste i panni di un romanzo storico ma senza esserlo appieno.


Descrivi “Standing Ovation” con tre parole (tre, non barare):

Speranza, introspezione e sfida.


Suggerisci un sottofondo musicale per accompagnare la lettura di “Standing Ovation” (se vuoi puoi indicare anche una situazione ideale di lettura, tipo periodo della giornata, luogo, compagnia, ecc):

“Elements” e “Questa notte” di Ludovico Einaudi. Secondo me, un calice di rosso è il compagno perfetto per affrontarne la lettura.


Quando e come è nata la tua passione per la scrittura? Che cos’è per te la scrittura?

Non saprei con esattezza. Era già lì. Mi osservava da lontano. Si è avvicinata a me in periodi di forte stress e mi ha psicanalizzata… ha tirato fuori emozioni sepolte e pensieri nascosti. È divenuta una grande amica, piano piano, senza tirar troppo la corda. Lo ha fatto con delicatezza. Non so esattamente quando ho iniziato a volerle bene ma è successo ed ora non saprei vivere senza di lei.


La nostra passione per il teatro è viscerale, archetipica come solo il nostro stacanovismo può essere. La nostra vita, burrascosa, si ferma ad un bivio: io, lascio sfogare tali burrasche su carta mentre lui, beh, è più dedito al vizio.

Luisa Di Falco

Qual è la tua routine di scrittura, se ne hai una?

Butto giù parole, senza pensarci troppo. Lascio che mi attraversino per finire su carta e non oppongo resistenza. Poi, dopo e con calma, rileggo e do loro una forma più pulita, laddove necessario.


Quali sono per te gli ingredienti che un bel romanzo deve avere?

Una buona domanda retorica iniziale a cui poter rispondere. Il lettore deve avere un pensiero fisso, del tipo “riuscirà il nostro eroe a salvare il mondo?”. E quella domanda deve sgattaiolare nella sua testa ed accompagnarlo per tutta la durata della lettura. Credo sia un elemento fondamentale e lo dico innanzitutto da lettrice.


Qual è la parte più difficile per te nel tuo percorso di ideazione, struttura, scrittura e promozione dell’opera? Perché?

Conciliare i pensieri, innanzitutto. Alle volte l’idea è chiara nella nostra mente ma fa fatica a trovare il suo posto sul foglio. Altra difficoltà è sicuramente la promozione. Nel mondo social è difficile lasciare il segno senza rischiare di divenire troppo simile agli altri; dal vivo, invece, c’è difficoltà a sradicare l’idea del virale: la gente, spesso e volentieri, fa fatica ad affidarsi all’emergente.


E la parte che reputi più stimolante e divertente?

La scelta del titolo. La mia mente viaggia letteralmente.


C’è un autore a cui ti ispiri? Perché?

Magari ce ne fosse solo uno! Tutti i libri letti e tutti gli autori conosciuti hanno lasciato in me un’impronta. Posso citarne alcuni che sicuramente hanno contribuito alla nascita di “Standing Ovation”: Dante, Manzoni, Pirandello, Hemingway, Boll.


Quanto è importante, secondo te, la lettura di altri autori per migliorare la propria scrittura?

Per me, è fondamentale. Soprattutto per acquisire lessico e dare la spinta giusta alle emozioni per venir fuori.


Nel caso del nostro Protagonista […] la reclusione sicuramente amplifica una condizione di disadattamento preesistente. Tale disadattamento, però, è dovuto proprio al fatto che il nostro attore viene isolato proprio perché spinge il suo sguardo oltre i confini del convenzionale

Luisa Di Falco

Preferisci leggere autori già affermati o emergenti? Perché?

Leggo sia gli uni che gli altri. Mi piace conoscere la matrice ed i risultati che produce continuamente. Di sicuro, dal classico come dal moderno è possibile imparare qualcosa.


Credi che la scrittura e la lettura possano cambiare il mondo? Se sì, in che modo?

Se almeno una persona chiude un libro ed inizia a pensare, a porsi domande o a fare ricerche per approfondire, sì, il mondo cambia. La conoscenza è il motore del cambiamento, assieme alla scoperta. La scrittura e la lettura sono mezzi per raggiungerle.


Se tu dovessi indicare un’opera che hai letto e che ha cambiato il modo in cui vedi il mondo (intorno a te o dentro di te), quale indicheresti? Perché?

Direi “Il vecchio e il mare”. È stato amore a prima lettura. Mi ha insegnato quanto sia importante per l’uomo non arrendersi, qualsiasi sia la lotta che si sta affrontando, anche a costo di perdere. Non è il risultato ciò che conta davvero, ma l’avventura in sé e la soddisfazione di averci provato.


Che tipo di opere ti piace leggere? Che genere o che stile devono avere? Devono affrontare particolari temi? Raccontaci cosa cerchi come lettore.

Sono molto votata al viaggio introspettivo, alla suspense ed ai colpi di scena. Tuttavia, alle volte è semplicemente una bella copertina a farmi decidere di intraprendere quel viaggio.


Volevo lasciare la libertà ai lettori di immedesimarsi il più possibile in lui. Il Protagonista è un essere umano ed in quanto tale ha vizi, virtù, desideri e rimpianti. Credo che lasciarlo senza nome e senza descrizioni precise sia l’unico modo per non limitarne l’essenza e la conoscenza.

Luisa Di Falco

A cosa stai lavorando?

Un nuovo romanzo, in primis. L’esatto contrario di “Standing Ovation”. Ci sono anche altri due o tre germogli a cui affidare le cure ma non spoilero nulla.



[La scrittura] È divenuta una grande amica, piano piano, senza tirar troppo la corda. Lo ha fatto con delicatezza. Non so esattamente quando ho iniziato a volerle bene ma è successo ed ora non saprei vivere senza di lei.

Luisa Di Falco

So che oltre alla scrittura e al teatro, di cui abbiamo già parlato, coltivi un’altra grande passione. Che cosa puoi dirci a riguardo?

Mi piace molto disegnare. Avrei tanto voluto intraprendere il percorso del liceo artistico e dell’accademia di belle arti ma non ho potuto. Ciononostante, provo a studiare tecniche e materiali da sola. Anche il pianoforte è una mia passione ed anche in quel caso vado di autodidattica. Purtroppo, le lezioni sono fuori dalla mia portata.


Quale consiglio ti sentiresti di dare a un giovane autore che sogna di pubblicare il suo primo libro?

Non disinnescarti, esplodi. Si può fare. Questo è il mio mantra.


Hai la possibilità di inviare nello spazio una sola opera (che sia una poesia, un racconto, un romanzo) di un autore più o meno conosciuto. L’autore puoi essere anche tu. In questa opera dovrebbe essere raccolto il tuo messaggio a memoria futura. Quale opera scegli e perché?

Oddio, su due piedi direi “La Commedia”. Secondo me, è indispensabile in ogni mondo ed in ogni universo disponibile.


Non disinnescarti, esplodi.

Luisa Di Falco

Risposte secche:

  1. Casa editrice o self? CASA EDITRICE
  2. Giallo o nero? Giallo
  3. Struttura a priori o in divenire? IN DIVENIRE
  4. Musica in sottofondo o silenzio? Musica
  5. Prima persona o terza persona singolare? PRIMA
  6. Libro cartaceo o digitale? CARTACEO
  7. Revisione a schermo o su carta? Carta

Grazie, Luisa, per la forza che ci hai trasmesso con queste risposte.

Se Luisa vi ha incuriositi, vi suggerisco di approfondire qui:



Una replica a ““Standing ovation” – Luisa Di Falco”

  1. Complimenti a questa giovane scrittrice e al suo romanzo…
    Che ti prende l anima.
    Mi auguro di leggere prestissimo un suo nuovo scritto.
    Direi proprio che MI PIACE.
    BRAVA continua a volare 💪😉

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