Intervista all’autore Stefano Tarquini

Interfacciarsi con un autore di racconti pubblicati anche su numerose riviste letterarie è un’esperienza che non si scorda facilmente. Se poi l’autore in questione è anche un poeta ed è dotato di grande senso di ironia, il rispetto è persino maggiore.
Stefano Taquini, classe 1978, romano, veste tanti ruoli e tutti legano la parola e l’arte: vox, direttore artistico per festival di musica indipendente, talent scout in programmi radiofonici, autore e poeta. Niente male, vero?
Oggi scopriamo qualcosa di più sulla seconda raccolta di racconti. Il titolo, “Irrequiete“, è senz’altro di impatto.
Ciao Stefano, ben arrivato! So che da pochissimo tempo hai pubblicato il tuo ultimo libro, “Irrequiete: volume 2”. So anche, però, che ti sei avvicinato prima di tutto alla poesia. Che cosa ha rappresentato per te e che cosa rappresenta adesso la poesia?
Ciao Serena, ben trovata! La poesia è assolutamente la mia confort zone. Ho avuto tante passioni nella vita, una su tutte la musica che ancora mi toglie tempo ed energia, ma la poesia mi ha sempre fatto compagnia fin dall’adolescenza, quando ho cominciato. Rimane comunque un bisogno, anche se abbastanza inutile e fine a se stesso, ma quello che interessa a me è sicuramente l’aspetto del gioco delle parole, il non fermarsi alla prima che ti viene in mente, l’andare oltre.
Mi è capitato di ospitare alcuni poeti sul mio blog. Una domanda che ho loro rivolto è quanto lavoro è nascosto dietro una singola poesia, perché c’è in giro la falsa credenza che basti soltanto l’ispirazione. Tu che cosa ne pensi? Quanto lavoro c’è tra i versi di una tua poesia?
Magari bastasse solo l’ispirazione! Quelli sono “pensierini”, e ammetto che tantissimi miei “colleghi” sovrastimati ne abusano, in nome di una presunta fama che li precede, e scomodano la parola poesia per versi che non scendono mai in profondità. Cosa necessaria a mio avviso. Per rispondere alla tua domanda, se non c’è perlomeno una rilettura, ma anche due, un’attenzione all’uso non banale delle parole, non c’è poesia. A volte, basta un giorno, a volte non basta un anno.
Non solo poesia, ma anche racconti. Il mercato editoriale tende purtroppo a privilegiare forme narrative più lunghe e uniformi come i romanzi rispetto ai racconti. Da dove deriva la coraggiosa scelta di andare controcorrente? Ti sta portando buoni risultati?
Onestamente seguo con molto scrupolo il mercato editoriale, e le raccolte di racconti hanno veramente preso piede. I risultati stanno arrivando lentamente, ma se ti riferisci solo al “venduto” ammetto che mi interessa il giusto, sicuramente interessa di più a chi mi pubblica!
Una frase che sento spesso, purtroppo, è che scrivere un racconto sia molto più facile che scrivere un romanzo. Personalmente credo che siano semplicemente due modi di lavorare diversi. Anche un racconto ha le sue difficoltà: il racchiudere in poche pagine una storia, il riuscire a caratterizzare bene i personaggi, la cura estrema di ogni singola parola come fosse dosata con il contagocce. Secondo te è davvero più facile scrivere un racconto di un romanzo come alcuni dicono? Se no, quali sono le difficoltà principali che un autore incontra nella stesura?
La diversità sta sicuramente nel tempo che hai a disposizione per la stesura. Qualche tempo fa mi ero messo in testa di scrivere un romanzo, ho addirittura cominciato a stendere una “sceneggiatura”, un canovaccio. Alla fine mi sono reso conto che era un buon racconto già così.
[La poesia] Rimane comunque un bisogno, anche se abbastanza inutile e fine a se stesso, ma quello che interessa a me è sicuramente l’aspetto del gioco delle parole, il non fermarsi alla prima che ti viene in mente, l’andare oltre.
Stefano Tarquini
In “Irrequiete: volume 2” sono presenti ben quindici racconti. Che tipo di storie dobbiamo aspettarci di trovare?
Sono tutti racconti che prendono spunti dal reale, quindi molto verosimili. La cosa interessante è la forbice temporale in cui sono nati, cioè praticamente un ventennio di vita reale, in cui per buona parte mi sono dedicato più alla musica.
Nei tuoi racconti emergono altre due parole che iniziano per “i”: inquietudine, instabilità. Quanto secondo te caratterizzano le figure ritratte? E quanto queste sono lo specchio della società attuale?
Magari non tutti i personaggi saranno inquieti, ma sicuramente son raccontati in modo inquieto. Fondamentalmente la serenità non mi interessa, non porta a niente. L’inquietudine crea quell’innesco necessario alla scrittura.
Ho avuto il privilegio di leggere alcuni dei racconti presenti nella raccolta. Ho notato uno stile musicale e funzionale al contempo, ma soprattutto quello che mi ha colpita è stata la scelta di ciò che viene raccontato. Ho riletto più volte lo stesso racconto e ogni volta, alla fine, ho avuto la stessa sensazione: che il modo in cui ti approcci alla storia sia un po’ quello di Carver. Non ci mostri la bomba che cade, ci porti dopo, molto dopo, dipingendo un’impressione in consonanti e vocali. Più il racconto è breve, più questo tratto si accentua. Che cosa deve trasmettere, secondo te, la lettura di un tuo racconto?
Intanto grazie. Raymond Carver l’ho straletto e riletto ancora, da giovane e più recentemente. Devo ammettere che adesso lo vedo allontanarsi, o magari sono io che ho scelto un’altra strada, ma resta uno degli autori con cui ho cominciato a leggere davvero. Sicuramente la lettura di un mio racconto, grottesco, cattivo o irriverente che sia ti deve scuotere o lasciare qualcosa, sennò ho fallito!
Anche sul ruolo del lettore l’opinione comune si spacca in due: alcuni vogliono che sia compito dell’autore creare storie; altri chiedono che sia il lettore a unire i puntini, a dare senso e significato. Tu, Stefano, da che parte stai? Che tipo di lettore ti aspetti?
Io sono per non unire tutti i puntini, e siccome mi rileggo molto, mi aspetto che, chi si avvicini ai miei racconti lo faccia mettendoci del suo. Il rapporto più curioso che ho stilato da quando scrivo è quello con gli editor delle riviste letterarie, sono dei mastini della lettura e della letteratura, in genere non mi perdonano quasi nulla, ma ritengo siano molto stimolanti, alcuni più di altri, ma questo è.
Fondamentalmente la serenità non mi interessa, non porta a niente. L’inquietudine crea quell’innesco necessario alla scrittura.
Stefano Tarquini
Tra tutti i racconti presenti in “Irrequiete: volume 2” ce ne è uno a cui sei particolarmente legato? Perché?
È come se ad un padre di famiglia chiedi, chi sia il figlio preferito, una preferenza di sicuro ce l’ha ma non ti risponderà mai, soprattutto di fronte agli altri. Comunque “Due”.
Come hai selezionato i racconti che sarebbero andati a comporre questa raccolta?
Io li ho mandati tutti, la selezione l’ha fatta la casa editrice.
In che rapporto si colloca il secondo volume di “Irrequiete” rispetto al primo?
È assolutamente complementare, come un cerchio che si chiude.
Descrivi “Irrequiete: volume 2”con tre parole (tre, non barare):
Sole. Cuore. Amore. Ma al contrario, cioè: Elos, Erouc, Eroma.
Suggerisci un sottofondo musicale per accompagnare la lettura di “Irrequiete: volume 2” (se vuoi puoi indicare anche una situazione ideale di lettura, tipo periodo della giornata, luogo, compagnia, ecc):
Proporrei l’intera discografia dei Massimo Volume, o dei Laquiete o dei Laghetto.
Rimanendo sull’argomento musica: so che è una componente fondamentale della tua vita personale e professionale. Credi che abbia dei punti di contatto con la poesia e con la narrativa breve in generale? Se sì, quali?
Quanto tempo hai? Scherzo. Questa è una domanda bellissima. I tempi della scrittura musicale col classico documento vuoto word, intendo il foglio bianco sono diversissimi. La musica è molto più disciplinata rispetto alla narrativa e alla poesia che considero infinita, anche se ora mi bacchetteranno i miei colleghi che fanno poesia più formale, questo per dire che i punti di contatto sono sicuramente effimeri, sia l’una che l’altra soddisfano bisogni più alti rispetto a tutto il resto, ma sono diversissime nella praticità. Ora però sto suonando in un gruppo elettro spoken word, che si chiama L’Amorte, in cui volutamente racconto delle storie e ammetto che rispetto all’altro mio gruppo storico, i Palkosceniko Al Neon, è più dispendioso il lavoro che faccio nei testi, ogni canzone è come scrivere un nuovo racconto.
Quando e come è nata la tua passione per la scrittura?
Eravamo più o meno quindicenni a Guidonia, una cittadina a cui in quel tempo non sapevi proprio cosa chiedere perché aveva realmente poco da dare, eravamo tre, forse quattro e già avevamo i primi gruppetti musicali, e niente passavamo le ore al telefono a dirci i testi, a modificarli insieme, insomma a scrivere. Una persona che è stata fondamentale in quel periodo è stato Daniele Coccia de Il Muro del Canto. Lui era uno di quelli con cui si faceva poesia veramente, stava molto avanti rispetto a noi altri, influenzato dai libri di poesia beat del padre, è stato sicuramente quello shock di cui ti parlavo prima, mi ha insegnato che scrivere non era da sfigati, tutt’altro.
Io sono per non unire tutti i puntini, e siccome mi rileggo molto, mi aspetto che, chi si avvicini ai miei racconti lo faccia mettendoci del suo. Il rapporto più curioso che ho stilato da quando scrivo è quello con gli editor delle riviste letterarie, sono dei mastini della lettura e della letteratura, in genere non mi perdonano quasi nulla, ma ritengo siano molto stimolanti, alcuni più di altri, ma questo è.
Stefano Tarquini
Che cos’è per te la scrittura?
Ti ho già risposto nel corso dell’intervista credo, non è semplice da definire così su due piedi, ma è sicuramente una compagna di viaggio di quelle che ascoltano, lasciano a te la parola.
Qual è la tua routine di scrittura, se ne hai una?
No assolutamente. Se comincio mi estraneo, se sto in una situazione mondana o al lavoro. Quando comincio si vede, tutti se ne accorgono. Poi magari a casa rileggo e correggo, miglioro dove possibile.
Una persona che è stata fondamentale in quel periodo è stato Daniele Coccia de Il Muro del Canto. Lui era uno di quelli con cui si faceva poesia veramente, stava molto avanti rispetto a noi altri, influenzato dai libri di poesia beat del padre, è stato sicuramente quello shock di cui ti parlavo prima, mi ha insegnato che scrivere non era da sfigati, tutt’altro.
Stefano Tarquini
Quali sono per te gli ingredienti che un bel romanzo deve avere?
Aglio, olio, peperoncino, qualche alicetta squagliata, pan grattato per l’effetto crock, e prezzemolo rigorosamente a crudo.
Qual è la parte più difficile per te nel tuo percorso di ideazione, struttura, scrittura e promozione dell’opera? Perché?
Direi senza dubbio la parte promozionale, in cui di solito sei lasciato a te stesso.
E la parte che reputi più stimolante e divertente?
Sempre quella promozionale perché di solito sei lasciato a te stesso, però giri parecchio e conosci posti e persone nuove, che la maggior parte delle volte ti lasciano qualcosa di bello. Anche di brutto è, ma basta prenderlo a verso.
C’è un autore a cui ti ispiri? Perché?
Ne cito tre ma sarebbero almeno trecento. Ti direi che sono quelli che mi hanno piacevolmente scosso di più, in vari casi mi sono entrati nel cervello facendolo in pezzi. Mi riferisco a: Emidio Clementi, Pier Vittorio Tondelli e Claudio Piersanti.
Quanto è importante, secondo te, la lettura di altri autori per migliorare la propria scrittura?
È fondamentale. Chi non legge è destinato a scrivere sempre la stessa cosa. Più in generale, se non leggi vivi solo la tua vita.
Se non leggi vivi solo la tua vita.
Stefano Tarquini
Preferisci leggere autori già affermati o emergenti? Perché?
Sono un lettore accanito delle riviste letterarie online. Lo faccio anche per scovare talenti che leggo poi in trasmissione, ogni settimana infatti conduco insieme a Michele Piramide, bestsellerista e amico, un programma radiofonico che si chiama Read(y) su Radio Kaos Italy, di solito leggo una poesia che trovo in rete citando l’autore e creando per quanto possibile una rete, ed input nuovi per gli ascoltatori.
Credi che la scrittura e la lettura possano cambiare il mondo? Se sì, in che modo?
Ne sono convinto. La poesia ha di sicuro cambiato la mia, in poco più di un anno dalla prima pubblicazione, infatti, ho tantissimi contatti con persone in ogni dove, tanti dei quali reputo amici ed amiche, ai reading, agli open mic, alle serate di slam poetry. Tutto veramente stupendo. C’è grosso fermento in questo momento storico per la poesia, e ne sono felicissimo.
Se tu dovessi indicare un’opera che hai letto e che ha cambiato il modo in cui vedi il mondo (intorno a te o dentro di te), quale indicheresti? Perché?
Camere separate di Pier Vittorio Tondelli, mi ha insegnato a scrivere come scrivo ora, in una maniera quasi infinita, le trame tornano, si gira intorno a poche situazioni, narrate in maniera estremamente profonda.
Che tipo di opere ti piace leggere? Che genere o che stile devono avere? Devono affrontare particolari temi? Raccontaci cosa cerchi come lettore.
Cerco il sangue. Cerco le grida. Cerco il silenzio.
A cosa stai lavorando?
Al momento ad una silloge poetica che uscirà con molta calma, per una casa editrice di Torino, Super Tramps Club. Inoltre ho una ventina di racconti inediti da mandare qua e là.
E che cosa puoi anticiparci sui tuoi progetti futuri?
Ho risposto in parte alla domanda precedente. Sto lavorando ai dischi nuovi dei gruppi in cui suono, stiamo organizzando con la radio serate di poesia nella capitale, scrivo.
Oltre alla scrittura e alla lettura, hai altre passioni? Che cosa ci racconti a riguardo?
Mi interessano gli eccessi, in ogni campo, perché portano vita. Nel resto del tempo sono un montanaro, un camminatore seriale. Cucino abbastanza bene. Ho una figlia.
Quale consiglio ti sentiresti di dare a un giovane autore che sogna di pubblicare il suo primo libro?
Lascia perdere. Fai altro. Risate tra parentesi.
Hai la possibilità di inviare nello spazio una sola opera (che sia una poesia, un racconto, un romanzo) di un autore più o meno conosciuto. L’autore puoi essere anche tu. In questa opera dovrebbe essere raccolto il tuo messaggio a memoria futura. Quale opera scegli e perché?
Immagino una poesia appena percepibile. Ma una poesia di amici. Poco importa che siano malati, dispersi, esiliati, dissidenti, che siano insubordinati. Che siano fuori dai giochi o prossimi a morire. Che vivano una vita qualunque, di conti errati, di fiatoni. Di giornate di muffa, di scale mobili. È bello ascoltare la voce di chi vuol bene, offrire ascolto a chi fatica a parlare, a chi ha perso la voce, a chi la voce non l’ha mai avuta. Questo io chiamo Rivoluzione. E tutto il resto oggi mi pare letteratura, polvere di biblioteca, salotto
David La Mantia
Cerco il sangue. Cerco le grida. Cerco il silenzio.
Stefano Tarquini
Risposte secche:
- Casa editrice o self? Casa editrice
- Giallo o nero? Nessuno dei due
- Musica in sottofondo o silenzio? Entrambe
- Struttura a priori o in divenire? Assolutamente in divenire
- Prima persona o terza persona singolare? Nessuna delle due
- Libro cartaceo o digitale? Libro cartaceo
- Revisione a schermo o su carta? Schermo 75 pollici
Grazie, Stefano, per essere stato con noi! Ti seguiremo nelle tue imprese poetiche, narrative e musicali!
Se le risposte di Stefano vi hanno incuriosito, potete approfondire qui:
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