“Imparare a cadere” e musica in sottofondo – Angelo Battagli

Intervista all’autore Angelo Battagli

Abbiamo già incontrato Angelo Battagli su questo blog. L’autore ci ha fatto un regalo incredibile: è stato proprio a lui a leggere un estratto tratto dal libro “Imparare a cadere” in un articolo speciale di spacchettamento che trovate qui. Oltre a questo romanzo, ha pubblicato anche “La sposa di Masaniello“. Chiacchiereremo di musica, di storie, di scrittura e di lettura. Non perdiamo altro tempo ed entriamo subito nel vivo della sua intervista.


Ciao Angelo. Ho avuto il piacere di conoscerti durante un appuntamento serale di un gioco organizzato da un gruppo facebook di autori e di lettori. Sono rimasta subito colpita dal tuo sorriso. Sì, perché esistono diversi tipi di sorrisi: il tuo è il sorriso di chi sceglie di sorridere alla vita e di imparare ad affrontarla con tutto quello che ha da offrirle. Non voglio chiederti quale sia la verità più grande che ti ha insegnato la vita, ma come ogni giorno, nonostante le difficoltà che ci vengono poste di fronte, riesci a trovare la forza di sorridere.

A questa domanda posso risponderti alla fine dell’intervista?


Prima di passare a parlare in modo più approfondito del tuo ultimo libro, vorrei farti qualche altra domanda. Mi è capitato di farti leggere un mio racconto ed è stato impossibile non notare l’attenzione che metti al suono delle parole e delle frasi. Ci racconti come mai per te l’aspetto musicale è così importante? Rileggi ad alta voce tutto quello che scrivi?

Suono il pianoforte dall’età di dieci anni, per cui la musicalità che cerco nei fraseggi musicali è la stessa che richiedo alle parole quando mi approccio alla scrittura o alla lettura. Se una frase suona male mi salta subito all’orecchio, come una musica cacofonica. Quello che mi propongo quando mi metto al PC (non ho mai scritto una sola parola su carta!) è quindi rendere un brano quanto più musicale possibile. Tuttavia, per rispondere alla tua seconda domanda, no non rileggo ad alta voce, mi basta immaginarla nella testa e il suono viene fuori, magicamente.


La musica, il ritmo, non è dato solo dalle note, ma anche dalle pause. Ti faccio una domanda sia tecnica che personal-filosofica. Che rapporto hai con le pause e con l’attesa, sia a livello ritmico nella narrazione che nella tua vita?

Nella musica le pause sono esse stesse note, le note del silenzio, quelle non dette, solo immaginate, lasciate intendere. E così avviene nella scrittura, a mio avviso: un punto, una virgola (ben messa, sia inteso) l’uso dei due punti dettano il ritmo della narrazione, scandiscono l’incedere dei fatti, creano quel contrappunto tra le voci dei personaggi, risvegliano appetiti e aspettative nei lettori, lo spingono ad andare avanti nella lettura. Nella vita, viceversa, non amo concedermi pause: ogni momento che non vivo appieno lo considero un momento perso, lasciato colpevolmente a poltrire tra le coltri dell’ozio. La vita è fin troppo breve per restare in attesa. Anche quando leggo, lo faccio in maniera proattiva, divertendomi a cercare refusi e sperimentando nuovi tragitti lessicali. “Questa frase l’avrei scritta così…”



Imparare a cadere” è il tuo romanzo autobiografico. Trovo il titolo davvero brillante, e nel tuo caso sincero. Sì, perché la lezione che ci stai dando, con il tuo libro, con la tua vita e con questo titolo, è che è impossibile non cadere. Certo, possiamo imparare però a farlo senza farci troppo male, ammortizzando i colpi. Magari imparando anche a rialzarsi. Ecco, io credo che “Imparare a cadere” sia un messaggio che tutti dovremmo conoscere e fare nostro. Mi racconti che cosa c’è dietro questo titolo?

Nell’estate del 2015 leggevo un romanzo, per la precisione il romanzo di esordio di Joël Dicker, “La verità sul caso Harry Quebert” e a un certo punto mi sono imbattuto in una frase che suonava più o meno così: “La vita è una lunga caduta, l’importante è saper cadere”. Ebbene quella frase mi ha colpito così tanto che in quello stesso istante ho deciso che il mio primo romanzo avrebbe avuto un titolo simile, IMPARARE A CADERE appunto. A settembre di quello stesso anno, iniziai a scrivere i primi capitoli. Il titolo, quello, lo conoscevo già. Imparare a cadere è prepararsi all’impatto col suolo, perché tutti siamo coscienti che, prima o dopo, la vita ci riserverà delle cadute, inevitabili, a volte dolorose, si spera mai definitive.


la musicalità che cerco nei fraseggi musicali è la stessa che richiedo alle parole quando mi approccio alla scrittura o alla lettura. Se una frase suona male mi salta subito all’orecchio, come una musica cacofonica. Quello che mi propongo quando mi metto al PC (non ho mai scritto una sola parola su carta!) è quindi rendere un brano quanto più musicale possibile.

Angelo Battagli

Oltre alla delicatezza, ho trovato in questo titolo anche un po’ di sana ironia. Mi ricollego anche alla prima considerazione sul sorriso. Ti chiedo quanta ironia è presente in Angelo e nel suo modo di affrontare le cose.

“L’ironia è un talento” dice mia moglie Susy, “non tutti ne sono forniti”. In effetti l’ironia mi è servita molte volte per affrontare con maggiore slancio le salite che la vita, di tanto in tanto, mi ha messo davanti. E anche per scrivere IMPARARE A CADERE ho attinto a piene mani a una buona dose d’ironia, perché temevo di rendere la mia storia troppo melodrammatica. Forse l’ho resa tragicomica, ma questo è un giudizio che lascio volentieri ai lettori.


“Imparare a cadere” ha ottime e numerose recensioni su Amazon. Ti è capitato che alcuni lettori ti contattassero dopo la lettura perché il tuo libro era stato un aiuto in momenti difficili?

In effetti mi è capitato molto spesso. Su Facebook faccio parte di un gruppo che raccoglie testimonianze di dializzati e trapiantati e tanti iscritti hanno letto il mio libro e mi hanno ringraziato perché hanno trovato sollievo e conforto nel leggere quelle pagine che raccontavano storie comuni, storie di sale d’attesa, storie di speranze e paure, di cadute e risalite. Questa cosa mi ha sicuramente riempito il petto di orgoglio e mi ha spronato a continuare a raccontare storie, non necessariamente autobiografiche.



“La sposa di Masaniello. Bernardina Pisa, donna immortale” è il tuo ultimo romanzo. Ci sono diversi aspetti che mi hanno colpito. Il primo è quello di aver scritto una storia, la storia, dal punto di vista di una donna che sceglie di stare accanto al marito divenuto “Capitano del popolo”. Come mai hai scelto di porre al centro Bernardina Pisa, la moglie, anziché Tommaso d’Amalfi?

La scelta di raccontare le vicende di Bernardina è presto spiegata: a differenza del marito, universalmente conosciuto e raccontato un po’ da tutti, di lei se n’era persa ogni traccia. Di solito parteggio per i più deboli, e così mi sono detto perché non dare dignità a un personaggio storico dimenticato dalla Storia, probabilmente offuscato dalla luce sovraesposta e invadente del suo sposo, Tommaso d’Amalfi, per tutti Masaniello. Ed è così che ho preferito la Viceregina delle popolane al Capitano del popolo, provando a raccontare una “storia favolosa”.


La Napoli che troviamo tra le pagine di questo libro è ricca di riferimenti storici e di costume alla Napoli oppressa dal dominio spagnolo. Come hai lavorato nella fase della ricerca storica e della documentazione? Ci porti dietro le quinte?

Avevo letto, nel corso degli anni, diverse monografie che raccontavano quella Napoli nonché la sceneggiatura di uno spettacolo teatrale dedicato alla rivoluzione napoletana e alla figura di Bernardina. Poi ho iniziato a navigare nel mare magnum di Internet e non mi sono più fermato, lasciandomi ingolosire dai miti e leggende di una città unica al mondo, ora come allora, Napoli. È stato un lavoro lungo e faticoso, ma credo di aver ottenuto un buon risultato. Il libro mi piace!


La vita è fin troppo breve per restare in attesa.

Angelo Battagli

Se in “Imparare a cadere” apprendiamo qualcosa sull’inevitabilità delle cadute, “La sposa di Masaniello” è anche un inno alla libertà. Che rapporto hai con la libertà e quando, Angelo, ti senti davvero libero?

Mi ritengo molto fortunato per essere nato in un Paese democratico e libero come l’Italia, cosa che diamo troppo spesso per scontata, soprattutto quando penso a certi territori dove instabilità politiche, guerre o dittature non permettono di sentirsi liberi di dire o di fare cose banali come scrivere un romanzo “scomodo”, fare satira o indossare una t-shirt provocatoria. Quanto a me, finché riuscirò a fare ciò che mi dà gioia e piacere potrò definirmi libero. Come vedi mi accontento di poco…


Ci racconti, a livello tecnico ed emotivo, come cambia il lavoro di un autore per un romanzo autobiografico e per uno storico?

La storia di Imparare a cadere, come è ovvio, era già tutta dentro la mia testa, dovevo solo organizzarla in capitoli e deciderne la sequenza temporale. È sgorgata come acqua di fonte, non riuscivo più ad arginarla e una volta rotti gli argini, è stata una catartica liberazione vederla sedimentata in un manoscritto. Tutt’altra storia per la Sposa di Masaniello, in cui i capitoli sono nati, per così dire, strada facendo. Leggevo, studiavo, scrivevo, cancellavo, riscrivevo.


Nella vicenda di Masaniello leggenda e realtà si intrecciano in modo difficile da districare. Qual è stato l’aspetto della sua vita che più ti ha colpito?

Una figura quasi mitologica, quella di Masaniello: pescivendolo, contrabbandiere, poi paladino e Capitano del popolo. Temuto e rispettato prima, deriso e tradito poi. Di sicuro il suo discorso finale, declamato nella Basilica del Carmine, nudo davanti alla sua gente, mi resterà per sempre scolpito nella mente. “Voi credete che io sia pazzo. Forse avete ragione, ma voi prima eravate immondizia e adesso siete liberi. Ma quanto può durare questa libertà? Un giorno? Due? Poi vi viene sonno e vi andate tutti a coricare. Non si può vivere tutta la vita con un fucile in mano. Ma se invece volete conservare la libertà, non vi addormentate”.


Bernardina Pisa viene presentata come una donna devota al marito, coraggiosa, fedele, appassionata nell’amore e nella lotta. Un personaggio davvero rivoluzionario per l’epoca. Se tu dovessi paragonarla a un fenomeno naturale, quale sceglieresti? Perché?

Di sicuro la paragonerei a un’eruzione vulcanica, viva e zampillante, fiera e indomita, figlia essa stessa di una terra impavida che risiede alle falde di una Montagna magnifica e terribile, che affascina e intimorisce, il Vesuvio.


Se tu dovessi individuare degli elementi in comune tra “Imparare a cadere” e “La sposa di Masaniello”, quali sarebbero?

Di sicuro l’aspetto cronistico: nel primo racconto la storia della mia vita, nel secondo la storia di Napoli; nel primo utilizzo come pretesto la malattia di Berger, nel secondo la vita avventurosa e leggendaria di Bernardina e del suo sposo. Altri punti di contatto fatico a trovarne, onestamente.


Descrivi ogni tua opera con tre parole (tre, non barare):

“Imparare a cadere”: lirico, poetico, commovente.

“La sposa di Masaniello”: denso, barocco, favoloso.


Suggerisci un sottofondo musicale per accompagnare la lettura delle tue opere (se vuoi puoi indicare anche una situazione ideale di lettura, tipo periodo della giornata, luogo, compagnia, ecc):

“Imparare a cadere”: Kind of blue di Miles Davis

“La sposa di Masaniello”: una lettura al tramonto


Quando e come è nata la tua passione per la scrittura?

Ho lavorato per molti anni in una casa editrice scientifica, come redattore. Dunque scrivevo per professione più che per passione, ma già amavo questa forma d’arte. Nel momento in cui ho avuto la possibilità di poter scrivere per me, e cioè durante la pandemia, non mi sono fatto sfuggire l’occasione e ho terminato IMPARARE A CADERE. Poi ci ho preso gusto e ho continuato…


Imparare a cadere è prepararsi all’impatto col suolo, perché tutti siamo coscienti che, prima o dopo, la vita ci riserverà delle cadute, inevitabili, a volte dolorose, si spera mai definitive.

Angelo Battagli

Che cos’è per te la scrittura?

Ritengo la scrittura una forma d’arte, al pari della pittura o della scultura, nulla di più nulla di meno. In questo momento mi sento un apprendista di bottega, più che uno scrittore, e ti assicuro che non è falsa modestia. Ho ancora tanto da imparare ma ti confesso che mi sto divertendo molto, non solo a scrivere ma anche a presentare i miei romanzi. Scrivere mi fa star bene, mi appaga, mi aiuta a stare ben piantato con i piedi sulle nuvole.


Qual è la tua routine di scrittura, se ne hai una?

Aborro la parola routine. L’unico consiglio che cerco di mettere in pratica è quello che lessi una volta in un manuale di scrittura, attribuito a Ernest Hemingway e cioè di non finire mai un capitolo, ma lasciarsi sempre un filo al quale ricollegarsi nel momento in cui si andrà a riprendere in mano il proprio scritto. E devo ammettere che funziona.


Di solito parteggio per i più deboli, e così mi sono detto perché non dare dignità a un personaggio storico dimenticato dalla Storia, probabilmente offuscato dalla luce sovraesposta e invadente del suo sposo, Tommaso d’Amalfi, per tutti Masaniello. Ed è così che ho preferito la Viceregina delle popolane al Capitano del popolo.

Angelo Battagli

Quali sono per te gli ingredienti che un bel romanzo deve avere?

Originalità, sentimento, fluidità nella lettura, finale non scontato. Soprattutto che sia scritto in maniera rigorosa.


Qual è la parte più difficile per te nel tuo percorso di ideazione, struttura, scrittura e promozione dell’opera? Perché?

Di sicuro la parte più difficile per me è l’organizzazione della struttura, perché non sempre ho tutto già ben chiaro nella testa. Nel romanzo di esordio, Imparare a Cadere, la scansione temporale era forzatamente dettata dagli eventi e mi ha fatto da guida; nella Sposa di Masaniello è accaduto più o meno lo stesso, ma ci sono casi in cui la trama non è legata allo scorrere del tempo e quindi diventa tutto più complicato.


E la parte che reputi più stimolante e divertente?

Di sicuro la parte più stimolante e appagante è quando presento la mia opera. Osservare gli sguardi attenti o rapiti dei partecipanti è adrenalina pura. In quei momenti mi sento come un cantante che presenta il suo nuovo singolo. Emozione pura.


C’è un autore a cui ti ispiri? Perché?

Non c’è un autore preciso cui mi ispiro, ma sono consapevole che la mia scrittura sia più il coacervo di diversi stili di scrittura, ereditati da anni e anni di lettura matta e disperatissima, una sorta di “esperanto letterario” che credo sia ancora in fieri.


Quanto è importante, secondo te, la lettura di altri autori per migliorare la propria scrittura?

Un buono scrittore è innanzitutto un ottimo lettore. Non l’ho detto io ma Stephen King, non l’ultimo arrivato insomma.

Io la penso uguale. Leggo da quando avevo l’età di 8 anni e non mi sono più fermato. Ritengo che resti, dopo secoli, il passatempo più appagante, arricchente ed economico che abbiamo ancor oggi a disposizione.


Preferisci leggere autori già affermati o emergenti? Perché?

Non faccio distinzione tra autori affermati o emergenti. Se un libro è interessante, lo è in quanto tale, a prescindere dalla mano che l’abbia scritto. Ultimamente, ad esempio, sto leggendo essenzialmente romanzi di autori sconosciuti al grande mercato librario. Devo anche dire che non sempre mi trovo a leggere dei capolavori, in tutta onestà. Ma questo è un altro discorso…


Credi che la scrittura e la lettura possano cambiare il mondo? Se sì, in che modo?

Di sicuro in negativo, nel senso che non leggere di certo ha imbarbarito il modo di parlare e di scrivere. Insegno da qualche anno in una scuola secondaria di secondo grado (quelle che chiamiamo superiori) e posso dirti che c’è un’ignoranza funzionale tra i ragazzi spaventosa. Non riescono a capire ciò che leggono, leggono male, senza espressione né punteggiatura, ma soprattutto hanno difficoltà enormi a esprimersi e a trasferire su carta ciò che sono e quello che sentono. Credo che tutto questo sia imputabile al fatto che i giovani non leggono, e con l’avvento dei social, soprattutto di quelli che non contemplano la scrittura (instagram o tik tok) questo fenomeno, ahimè, temo che andrà estendendosi a macchia d’olio.


Se tu dovessi indicare un’opera che hai letto e che ha cambiato il modo in cui vedi il mondo (intorno a te o dentro di te), quale indicheresti? Perché?

Ogni opera, a ben vedere, mi ha lasciato qualcosa, in termini di insegnamento o di sensazioni; di certo un testo che ha formato radicalmente la mia mente è stato L’interpretazione dei sogni di Sigmund Freud, letto all’età di 16 anni. Ma ci metto anche tutta la produzione di Bauman sulla società liquida e sull’homo consumens, letta in età più matura. Se parliamo di romanzi, invece, di sicuro uno scritto che mi ha fatto molto riflettere è stato Cecità di Saramago, riletto durante la pandemia.


Che tipo di opere ti piace leggere? Che genere o che stile devono avere? Devono affrontare particolari temi? Raccontaci cosa cerchi come lettore.

Fondamentalmente leggo di tutto, e le mie letture vanno a periodi. Si va dai gialli, ai noir, ai romanzi distopici, ai saggi, alla fantascienza, ai romanzi storici. Non prediligo i romance, ma adoro i romanzi introspettivi e psicologici, che scandagliano l’animo umano. Non ho mai letto un fantasy, ma non escludo di farlo in un prossimo futuro.


A cosa stai lavorando?

A ottobre uscirà alle stampe una raccolta di racconti, una sorta di romanzo cornice, di cui non posso dirti il titolo per opportunità squisitamente editoriali, che tratta storie di migranti. Inoltre, sto lavorando a un horror tutto italiano ambientato durante la seconda guerra mondiale che conferma la mia intenzione di non volermi fossilizzare su un unico genere letterario ma di spaziare quanto più possibile, per provare a trovare una dimensione tutta mia.


Ho lavorato per molti anni in una casa editrice scientifica, come redattore. Dunque scrivevo per professione più che per passione, ma già amavo questa forma d’arte. Nel momento in cui ho avuto la possibilità di poter scrivere per me, e cioè durante la pandemia, non mi sono fatto sfuggire l’occasione e ho terminato IMPARARE A CADERE. Poi ci ho preso gusto e ho continuato…

Angelo Battagli

E che cosa puoi anticiparci sui tuoi progetti futuri?

Continuerò a scrivere, perché ho capito che mi viene abbastanza facile, cercando di proporre i miei libri nelle scuole, per sensibilizzare i ragazzi alla lettura, unico, vero presidio di conoscenza e di verità. Avere tanti giovani lettori oggi, significa avere una società più consapevole e critica e meno manipolabile domani. Questo è il mio prossimo obiettivo: educare i miei alunni al bello e, dunque, anche alla lettura e perché no alla scrittura.


Oltre alla scrittura e alla lettura, hai altre passioni? Che cosa ci racconti a riguardo?

Suono il piano dall’età di dieci anni, con predilezione per il jazz. Adoro ascoltare musica durante l’arco della giornata, anche quando scrivo: è fonte di ispirazione. Per anni ho corso in bicicletta e praticato atletica leggera a livello agonistico. E poi leggo, leggo come se non ci fosse un domani. Come ho già detto, non riesco a stare fermo per molto tempo, perché ho il sacro terrore di annoiarmi.


Quale consiglio ti sentiresti di dare a un giovane autore che sogna di pubblicare il suo primo libro?

Innanzitutto di essere rigoroso. Un testo ben scritto in lingua italiana è un prerequisito imprescindibile per riuscire in questo mondo. Ho scoperto che l’Italia, oltre a essere un paese di poeti, santi e navigatori, e anche un paese di aspiranti scrittori. Si da il caso però che l’italiano medio è una persona che non legge (un libro all’anno ci dicono impietosamente le ultime statistiche) per cui si crea inevitabilmente un eccesso di offerta sul mercato editoriale rispetto a una domanda meno che esigua. Ecco che risulta quanto mai arduo riuscire a farsi spazio tra una selva inestricabile di neo autori. Resta l’ultima spiaggia delle case editrici a pagamento o del self publishing, ma qui si aprirebbe una discussione che richiederebbe un supplemento di intervista, ergo mi taccio.


Hai la possibilità di inviare nello spazio una sola opera (che sia una poesia, un racconto, un romanzo) di un autore più o meno conosciuto. L’autore puoi essere anche tu. In questa opera dovrebbe essere raccolto il tuo messaggio a memoria futura. Quale opera scegli e perché?

Invierei di sicuro una poesia di Giuseppe Ungaretti, e precisamente Soldati, perché credo che questa assoluta gemma della letteratura incarni, più di tante altre opere, la grandezza e al contempo la caducità del genere umano, e sottolinei le brutture della guerra, un’invenzione tutta umana, insensata, crudele e volgare.


Scrivere mi fa star bene, mi appaga, mi aiuta a stare ben piantato con i piedi sulle nuvole.

Angelo Battagli

Risposte secche:

  1. Casa editrice o self?  Casa editrice
  2. Giallo o nero? Giallo
  3. Musica in sottofondo o silenzio? Musica in sottofondo
  4. Struttura a priori o in divenire? A priori
  5. Prima persona o terza persona singolare? Terza
  6. Libro cartaceo o digitale? Cartaceo
  7. Revisione a schermo o su carta? Su carta 

Non vedo l’ora di tornare a leggere qualcosa di Angelo Battagli perché, come vi ho già detto, apprezzo molto la qualità e la musicalità della sua scrittura.

Se le sue risposte vi hanno incuriosito, potete approfondire qui:



Una replica a ““Imparare a cadere” e musica in sottofondo – Angelo Battagli”

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