Vesna e Ombra. Vesna è Ombra

[Racconto breve con cui ho partecipato a un contest su un gruppo Fb]

Ti hanno detto che non c’è nulla da temere nella notte. Che nel cielo cupo la luna e le stelle sembrano brillare con ritrovata forza e che splendono solo per te. E che tu, se chiudi gli occhi, potrai viaggiare in universi meravigliosi, con alberi ricchi di tutti i tesori che desideri. Non li vedi, lì, già appesi? Non sono pomi color dell’oro, né monete preziose da collezionare. Sono corpi, quelli, e penzolano, mossi dal vento anziché dalla vita. Penzolano dai rami come foglie che stanno per cadere, ma quei corpi sono già morti.
Li hai uccisi tu, Vesna, ricordi? Uno dopo l’altro, battendo le ciglia e serrando le palpebre, fingendo che non esistessero. Che quelle persone, le persone che erano prima di diventare cadaveri, fossero frutto di un’allucinazione o di fantasia. Non ti hanno insegnato che i fantasmi peggiori sono quelli che non puoi osservare a occhio nudo? Sono quelli che vivono dentro di te, nel tuo corpo troppo freddo, nel riflesso allo specchio con cui non sai trovare pace. Hai perso il filo, non hai cucito bene tutti gli scampoli che hai trovato grattando il fondo, il tuo e il loro. E se ti chiedi perché ti stia rivelando tutte queste verità così scomode, be’, è perché sono Ombra, e il mio compito è quello di raccogliere le loro storie e rivelarle a chi non ha voluto ascoltarle.
Non mi vedrai proprio come non hai visto loro: siamo troppo insignificanti per te, non trovi? Troppo artefatti, troppo finti. Nebulosi come le vette velate d’inverno, evanescenti come gli amanti estivi. Hanno chiesto a me di essere la loro voce e così ci provo, seppur rauca, gracchiante, come una radio che non riceve bene. Come la gola raschiata dal fumo e dall’alcol in cui tutti affogano, vanno giù e bevono, bevono fino a quando finiscono con il galleggiare sul mare, con il viso rivolto verso il fondale, i capelli mossi appena dalle correnti. Hanno chiesto a me e io, Ombra, proverò.
Posso parlare un solo giorno l’anno, come i morti che ritornano. Perché non essere mai esistita è come esser morta, non credi? Allora torno, ogni trentun ottobre, a svegliare quelli come te che chiudono gli occhi e si sentono sicuri, perché non comprendono di essere intrappolati nella fauci dell’incubo, e che l’incubo è reale, e che l’incubo è dentro di loro. Io posso vederlo quell’incubo, allungarmi quando devo sembrare più grande e forte, oppure diventare così piccola che tu, Vesna, eterna ingenua bambina, potresti non vedermi mai. Ed è in quel momento che devi prestare maggiore attenzione: perché quando Ombra non c’è più, è perché Ombra è dentro di te. Non ti servirà specchiarti per controllare che non ci sia nessuno alle tue spalle. Io sono qui, Vesna, sopra il tuo cuore che batte, tra i bronchi dei tuoi polmoni, nel sottilissimo strato sotto l’epidermide che spesso ti fa rabbrividire. Sono io, sono dentro di te e loro, quelli che penzolano ai rami, mi hanno parlato.
Mi hanno detto che sei stata tu. Che l’hai fatto senza accorgertene. Nessun incidente, nessun’arma del delitto, nessun motivo apparente. Non ti sei neppure accorta di quello che hai fatto, di averli uccisi, di aver lasciato agli avvoltoi macabri bocconcini di pelle e interiora. Non hai ancora capito, Vesna, che cosa hai combinato?
*
La punta del lapis si spezza sulla pagina bianca. Vesna chiude il quaderno: anche oggi ha cancellato tutto quello che ha scritto, perché ogni storia non le è sembrata abbastanza buona. In un angolo della copertina gialla ha abbozzato una faccia triste con i tratti appena più semplici di quella che trova sullo specchio del bagno. Gira la manopola del rubinetto, chiude gli occhi, congiunge le mani in una preghiera aperta, lascia che si formi una pozzanghera d’acqua gelida sui palmi. Si lava la pelle, incapace di sentire quello che dovrebbe. Si lava gli occhi, incapaci di vedere davvero quei personaggi che dovrebbero essere reali. Si lava la bocca, incapace di raccontare come vorrebbe. Quando ha finito, ha il viso arrosato dal freddo. La luce a pioggia dal soffitto la ricopre cancellando ogni sfumatura buia dal suo viso. Nella casa è tutto silenzio, tranne quel ronzio fastidioso all’orecchio sinistro. E cresce, fino a diventare un rumore chiarissimo e subito dopo uno insopportabile. Vesna si copre le orecchie, ma è tutto inutile: è come se dentro la sua testa ci fossero mosche che sbattono le ali, ragni che tessono la ragnatela, serpenti che lottano per uscire dalla muta. Non c’è ombra fuori, perché Ombra è nel corpo di Vesna. Osserva la propria mano aprire un cassetto, estrarre dalla scatola del cucito un grande ago appuntito e quel filo di lana ispida e spessa che a volte riesce a chiuderle la bocca. È il suo modo di punirsi, ogni notte di Halloween, per esser stata incapace di sentire il dolore dei personaggi che ha abbandonato in un angolo e che ha lasciato morire non raccontati.
Il sangue le cola giù fino a disegnarle una strana barba sul mento. Ha le occhiaie, Vesna, e i capelli in disordine, ma è il giorno di Halloween e nessuno farà caso al suo dolore.

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